Cento
20 Aprile 2018
La Corte annulla parte della condanna a 9 anni e 4 mesi e rinvia alla Corte di Assise

Uccise la moglie per ‘liberarla’, colpo di scena in Cassazione

di Redazione | 2 min

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La Cassazione ha annullato una parte della sentenza di secondo grado a carico di Giuseppe Parmiani e ha rinviato ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Bologna per rivalutare la pena. È il verdetto che esce dagli ermellini romani in merito all’uxoricio avvenuto a Cento il 2 maggio 2015.

Quel giorno Parmiani, oggi 85 anni, uccise con una coltellata all’addome la moglie, Carmen Tassinari, 80 anni, ammalata e invalida da tempo.

In primo grado il gup di Ferrara lo condannò in rito abbreviato a dieci anni di reclusione. In secondo grado la condanna venne ridotta a 9 anni e 4 mesi. Parmiani, che dopo aver scontato due settimane agli arresti domiciliari venne rimesso in libertà dal tribunale di sorveglianza, accudiva da anni insieme ai tre figli la moglie, originaria di Sabaudia, in provincia di Latina, malata e costretta immobile sul letto da tempo.

Fino a quel sabato 2 maggio, alle ore 23, quando prese la decisione fatale. Afferrò un coltello da cucina e colpì la coniuge al fianco destro. Il decesso fu pressoché istantaneo. Dopo l’uxoricidio chiamò subito il 118 e attese in casa, in via Borselli 9 a Cento, l’arrivo dei sanitari e dei carabinieri.

Il perito del tribunale ne confermò la piena capacità di intendere e volere al momento del fatto. A spingerlo verso quel gesto, riferì al giudice, fu anche la volontà della moglie che, prima di ammalarsi, avrebbe confidato più volte di preferire la morte a una vita costretta su un letto o una sedia a rotelle. Motivazione che avevano spinto il difensore, l’avvocato Giampaolo Remondi a chiedere in primo grado e reiterare in appello la riqualificazione del capo di imputazione in omicidio del consenziente. Ma in mancanza di una prova, di una volontà scritta della moglie, i giudici non si sono convinti a sposare la tesi per cui Parmiani avesse agito sulla base dell’errato convincimento di un consenso valido per la legge.

La difesa aveva anche sostenuto che venisse riconosciuta una particolare attenuante. L’imputato, già nel corso del processo di primo grado, si era offerto di risarcire le persone offese, vale a dire i tre figli. Questi avevano rifiutato, capendo i motivi del gesto del padre. I tribunale precedenti non avevano però sussistente un danno, cosa che invece è stata riconosciuta in terzo grado.

E così, nonostante il procuratore generale in Cassazione avesse chiesto la conferma della condanna, la Corte ha annullato quella parte di sentenza, rinviando al giudice di secondo grado per riesaminare questo aspetto. Per l’avvocato Remondi è “una grande soddisfazione, anche perché il mio assistito sarebbe finito in carcere”.

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