Cronaca
20 Ottobre 2017
Nel processo contro la coppia incubo del quartiere le testimonianze dell'uomo massacrato da Dedoni e di sua moglie, aggredita dalla Cerasi

Via Rambaldi. «Proponemmo di ritirare le denunce, ci rispose: voglio la guerra»

di Daniele Oppo | 4 min

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Uno scorcio di via Rambaldi

Nonostante anni di vessazioni, minacce, insulti, rapporti finiti ben oltre il confine della civiltà ci fu un momento in cui gli abitanti di via Rambaldi proposero una tregue alla coppia Dedoni-Cerasi. Rispedita al mittente.

A raccontarlo è stata una delle testimoni chiamate a deporre nel processo per lo “stalking di quartiere” – ovvero per le molestie e le minacce messe in atto dalla coppia -: la signora Rita Volpi. «Nel 2015 abbiamo proposto alla Cerasi di ritirare tutte le denunce purché si mantenessero rapporti civili – ha raccontato la testimone -. Ma lei tramite il maresciallo dei carabinieri ci ha risposto: “Voglio la guerra”».

Una guerra i cui antefatti salienti sono in larga parte noti, ma che non esauriscono il racconto. Non solo gli animali sgozzati e una vasta pletora di minacce: Carlo Dedoni e la moglie Viriginia Cerasi (difesi rispettivamente dagli avvocati Gianluca Filippone e Riccardo Ziosi) hanno fatto di tutto affinché nessuno dei vicini di casa potesse vivere una vita tranquilla tra le proprie mura, al punto di mettere musica per l’intera giornata, creando addirittura un rudimentale impianto di amplificazione fatto con delle casse metalliche, affinché le note di Fabrizio De André diventassero la colonna sonora dell’incubo quotidiano.

È la signora Volpi – che venne anche aggredita fisicamente dalla Cerasi con l’aiuto del marito Dedoni – ad aver fornito la maggior parte dei dettagli ulteriori su una vicenda in cui la tensione e il malessere di chi l’ha vissuta – e in parte la vive ancora oggi – è palpabile anche nelle aule di tribunale.

«Mi minacciava anche tre volte al giorno», ha raccontato al giudice Vartan Giacomelli. E poi gli insulti, le offese pesantissime, il racconto di quando Dedoni spaventò una vicina di casa di 80 anni e inferma al punto che questa si fece la pipì addosso. Ma anche storie più inquietanti, se possibile: un giorno Dedoni le fece capire di essere a conoscenza del fatto che aveva svolto alcuni esami medici specifici, canzonandola per questo e ammutolendo solamente alla domanda della signora Volpi su dove avesse avuto quelle informazioni, insinuando che fosse stata la moglie – che lavora al Cup dell’ospedale Sant’Anna – ad avergliele riferite.

E proprio la moglie un giorno «con la voce da indemoniata», giocando col suo cognome le disse «è iniziata la caccia alle volpi, ti ammazzo». Un’altra volta le disse «di qui passi, verrà il giorno in cui non passerai più» e uno stranissimo «chiama tuo nonno finché sei in tempo, prima o poi ti ammazzerò». E sempre la signora Cerasi «non mostrava pietà neppure per un disabile al cento percento» che abitava nel quartiere. Il figlio alla sua vista «diceva: “Guarda, una merda di quartiere. Le merde si ammazzano” e la signora Cerasi rideva anziché dargli due ceffoni».

E poi ritorna il gatto Poirot, il simbolo del disagio nel quartiere. Il fatto è relativo al 2008 quando la coppia Volpi-Luzzi si era appena trasferita in via Rambaldi, non sapendo cosa l’aspettava. «Erano andati via per dieci giorni e hanno lasciato i gatti Poirot e Milù sul balcone, senza cibo e tra gli escrementi – ha raccontato la signora Volpi -. Con una vicina li abbiamo nutriti usando una pala da fornaio e gli abbiamo messo una coperta perché erano esposti al vento e alla pioggia».

Il marito della signora Volpi, Roberto Luzi, l’uomo massacrato di botte da Dedoni, ha rimarcato alcuni dettagli, le minacce, gli insulti, le violenze e quella musica, «regolarissima» in termini di rispetto dei regolamenti comunali, ma messa a posta per infastidire il vicinato a tutte le ore. La radio a tutte le ore e poi le cassette di De André, con predilezione per “La ballata del Michè”, “Tutti morimmo a stento”, “La guerra di Piero”, “Il testamento di Tito”. Non solo, secondo quanto raccontato dal teste, Dedoni aveva una specie di passione per le offese al genere femminile – che non trascriviamo qui ma che sono facilmente immaginabili – rivolte non solo alle donne contro cui conduceva la sua ‘battaglia territoriale’ ma anche alle ragazze che passavano per via Rambaldi, anche con inviti sessuali espliciti.

Un incubo lunghissimo che ha costretto i testimoni a dove far ricorso all’aiuto di specialisti, alle medicine, a vivere una vita diversa da quella che avrebbero legittimante voluto. Un incubo da cui cercano di riscattarsi oggi, parti civili nel processo, assistiti dall’avvocato Patrizia Micai, in una lunga battaglia contro la terribile coppia.

Si ritorna in aula a fine ottobre.

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