Argenta
19 Settembre 2017
Gli auguri di Donata Bergamini al fratello per il suo compleanno: «28 anni di lotta per una giustizia negata, ma continueremo con dignità»

«Denis, è un giorno speciale ma non abbiamo potuto festeggiarlo»

di Redazione | 2 min

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Foto dal profilo Facebook di Donata Bergamini

Argenta. «Denis, il giorno del compleanno è un giorno speciale da festeggiare, noi non abbiamo potuto festeggiarlo». È Donata Bergamini a scrivere idealmente al fratello Denis, il giocatore argentano del Cosenza calcio, deceduto in circostanze mai chiarite sulla Statale Jonica a Roseto Capo Spulico, il 18 novembre 1989. Lunedì avrebbe compiuto 52 anni. Avrebbe ma non ha potuto ed è Donata a spiegare il perché.

«Qualcuno ha detto che la tua storia è una fiction e quindi se la tua storia è una fiction anche la tua nascita è stata una fiction. Qualcuno ha dichiarato cose da ufo sulla tua morte, quindi anche l’addetto dell’ufficio anagrafe era sull’astronave il 18 settembre 1962 quindi ha sbagliato a registrarti. Qualcuno ha mentito sulla tua morte perché sconvolto, quindi anche l’ostetrica ha mentito sulla tua nascita perché era stressata. Qualcuno forse pensava pure che non ci fosse la tua bara nel loculo oppure che qualcuno di noi fosse venuto a dormire con te oppure a prelevarti, stranamente in quella bara tu c’eri, eccome se c’eri, protetto dalle sciarpe dei tuoi tifosi, sigillato e protetto da un muro costruito con mattoni pieni».

Ed è proprio da quel loculo la storia di Denis Bergamini riparte, alla ricerca della verità su una morte incomprensibile, un suicidio a cui nessuno – o quasi – crede davvero. «Siamo partiti da quel loculo dopo quasi 28 anni», ricorda Donata, che torna indietro nel tempo, alle prime consulenze sul quel corpo martoriato, schiacciato da un camion, sotto il quale si sarebbe buttato o, forse, sotto il quale è stato messo. «In quella bara tutti hanno visto che c’eri e che il tuo corpo non era come avevano scritto, questa non è una fiction ma verità. Davanti al tuo corpo che parlava qualcuno ci ha costretti prima a vivere nelle sabbie mobili poi sopravvissuti condannati all’ergastolo, ma io sono qua De’, con le chiavi in mano, le conservo tutte io le chiavi di noi famigliari, a ciascuno consegnerò la chiave della cella che merita in base alla propria responsabilità, non c’è più spazio in questo omicidio per chi non ha coraggio, per chi è corrotto, per chi vuol depistare, per chi vuol insabbiare, per chi ha mentito. Le conseguenze di 28 anni di lotta per una giustizia negata che ci stiamo portando sulle spalle sono disumane – conclude Donata – ma continueremo con dignità e fermezza con il nostro avvocato Fabio Anselmo perché è inaccettabile non ascoltare i corpi che parlano e condannare i famigliari delle vittime.  Ciao Dè, ma quando sei nato? Ciao campione, batti 5!».

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