Eventi e cultura
27 Novembre 2016
Costa e Baliani a Copparo parlano dell’umanità in viaggio

Human: cosa è umano e cosa no

di Redazione | 3 min

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Copparo. Un diario del viaggio attraverso la linea che separa umano e inumano, senza avere la pretesa di sapere con certezza da quale parte ci si trova; la stessa linea che attraversa “Human”, lo spettacolo di Marco Baliani e Lella Costa, andato in scena giovedì sera al Teatro De Micheli di Copparo.

Una Odissea attraverso l’arte, la letteratura, il teatro, il mito, le tante storie che fanno la Storia, per raccontare le tante anime racchiuse dentro la definizione di profugo, senza retorica e enfasi, senza che ci sia il ritorno a casa, perché di casa se ne può trovare una nuova, dall’altra parte di questo Mare Nostrum.

Costa e Baliani hanno scelto di non seguire una trama, ma comporre una narrazione attraverso diversi quadri, collegati fra loro dalle musiche di Paolo Fresu. C’è l’Eneide, il racconto di come da un popolo di profughi nacque un impero: Enea, arrivato “da lunga guerra”, sottolinea a chi ascolta che “profughi siamo non per volere del fato, ma per l’empia natura dell’uomo”. C’è il mito ovidiano di Ero e Leandro, gli amanti divisi dallo stretto dell’Ellesponto. C’è “Il riposo durante la fuga in Egitto” di Caravaggio: quando l’angelo giunge a portare conforto a Giuseppe e Maria costretti a scappare dalla propria terra. Molte altri genitori non sono stati così fortunati: c’è lo strazio di padri che non hanno più fede e di madri che “non urlano, non gridano” ma “si spezzano” quando sono costrette a lasciare i figli. E c’è la storia di Ottavia, piccola bergamasca costretta a migrare in America a fine Ottocento. Fino ai giorni nostri: fra il dilemma dei pescatori che in mare si trovano davanti un’imbarcazione stracolma di persone che forse sta per affondare e non sanno che fare, e la tragedia di chi, magari proprio su quella barca, si stringe gli auricolari alle orecchie per non sentire le grida e lo sbattere dei pugni di quelli non hanno pagato abbastanza per stare sopra coperta.

Per dare corpo e voce a queste storie e a queste testimonianze del migrare sul palco con Lella Costa e Marco Baliani ci sono quattro giovani attori, David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu: ragazzi in crociera che passano sopra le fosse comuni sui fondali del Mediterraneo e ascoltano la schiuma perché è come se gridasse, amici ritrovatisi a cena che commentano, con ipocrisia o con smarrimento, scene di sbarchi alla tv. “Perché si mettono in viaggio sapendo che forse moriranno?”, domanda uno di loro; “Per quel forse!”, risponde l’altra.

Ma c’è anche spazio per il cabaret, che in realtà nasconde la riflessione sociale: Lella Costa-casalinga veneta afferma che “per i negri il lavoro nero è più naturale” e si chiede “quanti elefantini di legno si potranno mai comprare in una vita?”. Poi però, riflettendo su chi è costretto a lasciare la propria casa in poche ore, si chiede lei che farebbe, cosa porterebbe con sé, da una cosa è sicura che non potrebbe separarsi: le proprie chiavi di casa.

Il tutto accade nella scenografia di Antonio Marras, soluzione perfetta per questo oratorio che tratta di un’umanità in viaggio e di un’(in)umanità che si trova ad accogliere: un pavimento e un muro fatti di indumenti vuoti, muti, blu scuro come i flutti di un mare che inghiotte e rossi come l’amore e il sangue.

Baliani, Costa e i loro giovani compagni dosano con equilibrio diversi registri, non offrono comode risposte, ma solo interrogativi insoluti, con lo scopo di non banalizzare e non rappacificare, di togliere il velo dell’abitudine che si stende sopra i fatti quotidiani. Lo spettatore sbarca, al termine del viaggio, con addosso un senso di non finito e non sa, nemmeno ora, lui da che parte è della linea di “Human”.

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