Gorino. Una volta i profughi erano loro. E vennero accolti. La storia, anche quella locale, regala corsi e ricorsi. E Goro e Gorino non fanno eccezione. Lo ricorda l’Udi di Ferrara che, nello stigmatizzare le sbarramento umano contro la corriera della donne profughe, riflette sull’“amara constatazione che chi formava la barricata ha tra i propri nonni o genitori la testimonianza (ad appena una generazione, forse due di distanza) di cosa significhi dover chieder sostegno per vincere uno stato di indigenza e povertà”.
L’associazione rammenta che “quella zona del Delta del Po, nel secondo dopoguerra, aveva un particolare bisogno di sostegno anche per quei beni di prima necessità, al punto da trasferire interi gruppi di fanciulli in altre famiglie della provincia e altre regioni che li accoglievano, li sfamavano e li curavano”.
Era il 12 novembre del 1958. L’Unità di allora titolava a caratteri cubitali “Goro ancora sommerso dall’acqua”, parlando del dramma di “cinquemila alluvionati e duemila profughi”. Nella pagina locale della “Nuova” di qualche anno fa, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’alluvione di Goro, Odino Passarella ricordava che “all’una e venti circa l’argine della marina davanti a Ca’ Romanina cedette invadendo il Bonello appena bonificato” e “alle prime luci dell’alba l’acqua incominciò ad invadere il paese che in poche ore l’intero paese si trovò completamente invaso: una tragedia annunciata”.
In paese rimasero solo gli uomini, nel disperato tentativo di salvare il salvabile. Donne e bambini vennero accolti e soccorsi dalle popolazioni vicine.
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