Sappe e Osapp – sindacati della polizia penitenziaria – replicano alle parole di Marcello Marighelli, garante dei detenuti a Ferrara, intervenuto nei giorni scorsi in difesa della comandante del carcere estense, dopo l’annunciata ‘rivolta’ nell’Arginone.
“Tale intervento lo riteniamo fuori luogo – scrive Roberto Tronca, segretario del Sappe -. Oggetto del contendere riguarda la gestione delle risorse umane svolta dal comandante, e per risorse umane si intende il personale di polizia penitenziaria; non si comprende, pertanto, a quale titolo Marighelli esprima il proprio parere. Il suo mandato esula completamente dall’operato del personale in uniforme, e del resto, mai in precedenza il Marighelli ha mai espresso il benché minimo interesse nei confronti del personale di custodia e dei suoi disagi e difficoltà. Mai ha cercato il minimo confronto, e quindi tutto questo interesse ci stupisce, dato che da quando svolge il proprio incarico, e stiamo parlando di diversi anni, non è mai stato palesato in precedenza”.
Per i sindacati è “risibile che definisca il comandante come un capro espiatorio. Tanto per cominciare, Marighelli, oltre ad ignorarci completamente, è comunque presente in istituto in modo saltuario, per un arco di tempo molto limitato; non si comprende, quindi, come si possa esprimere su una realtà che non conosce e che non ha mai voluto conoscere. È bene poi precisare che le sigle sindacali non hanno effettuato ‘processi sommari’, e quindi non hanno individuato il comandante come un ‘capro espiatorio’; tali considerazioni, invece di raffreddare i conflitti, li esasperano. Il comandante è ritenuto responsabile di determinati comportamenti, di determinate decisioni che hanno avuto come conseguenza la situazione attuale, ritenuta inaccettabile dalla stragrande maggioranza del personale di custodia; alla frattura si è giunti dopo avere cercato in ogni modo un dialogo, che è sempre stato negato; a questo punto ci chiediamo se Marighelli queste cose le sappia, e quindi a maggior ragione il suo intervento risulta essere fuori luogo”.
Ma l’intervento del garante è ritenuto anche “inopportuno “poiché Marighelli svolge un mandato che con il personale di custodia non ha niente a che vedere, e dato che per il personale stesso non ha mai mostrato alcun interesse, è del tutto inaccettabile che costui venga a dare consigli in tema sindacale su come raffreddare i conflitti. Egli è preoccupato dall’espressione ‘pugno duro’, e dichiara che la nostra azione non deve contrastare l’azione di svolta politica penitenziaria degli ultimi anni; ebbene, è davvero grossolano che Marighelli esprima timori al riguardo. Tanto per cominciare – scrive Tronca – non è certo nostra intenzione fare niente del genere. Come organizzazioni sindacali di categoria siamo impegnati nella salvaguardia dei diritti del personale in uniforme. Noi, come organizzazioni sindacali, siamo preoccupati dal fatto di essere abbandonati a noi stessi, di subire aggressioni e di non poterci nemmeno difendere, in alcun modo ed in alcuna sede; siamo preoccupati dal fatto che diversi colleghi hanno riportato lesioni in seguito a colluttazioni avute con detenuti e la cosa sia quasi ritenuta normale, come se si trattasse di una sorta di ‘rischio d’impresa’. Tale considerazione è del tutto inaccettabile, con buona pace di Marighelli. Che poi egli liquidi superficialmente il fatto che non si sia investito in personale, mezzi e formazione, ed auspica che lo Stato dia maggiore riconoscimento al Corpo di Polizia Penitenziaria, ma anche a educatori, medici, infermieri, insegnanti e volontari – prosegue Tronca – non fa che confermare la sua scarsa conoscenza del personale e delle sue problematiche. Si legge, tra le righe del suo intervento, la convinzione che il personale di custodia sia semplicemente quello che apre e chiude le porte, e ciò, oltre ad essere anni luce dalla realtà, ribadisce la sua scarsa conoscenza degli aspetti che ci riguardano”.
L’attacco va infine più a fondo: “Vorremmo capire cosa intenda con l’auspicio che il carcere diventi sempre più uno spazio di educazione alla legalità. Se secondo lui il concetto è che i detenuti debbano essere liberi di poter fare ciò che vogliono, in aperto spregio alle più elementari norme non soltanto giuridiche ma anche di comportamento, forse è il caso che riveda le proprie convinzioni, e che magari si rilegga l’art. 41 dell’Ordinamento Penitenziario. Marighelli la verità del nostro lavoro non deve coglierla soltanto dal sindacalista che dichiara che il personale compie enormi sacrifici, perché così facendo scopre l’acqua calda. Sappia, Marighelli, che il personale non è più disposto a continuare a subire in silenzio e, pertanto, ringraziandolo, rispediamo al mittente i suoi consigli di superare i toni polemici, e pazienza se non li condivide; non è mai stata nostra intenzione fare polemiche, e non lo sarà mai. La nostra non è una polemica – conclude il sindacalista – e non riveste alcuna connotazione personale: semplicemente, abbiamo preso atto del fatto che non è più possibile alcun dialogo ed alcuna trattativa, e non abbiamo alcuna intenzione di recedere dai nostri propositi”.
Sulla questione, nel pomeriggio di mercoledì, intervengono anche i segretari regionali si Sappe e Osapp, Francesco Campobasso e Giovanni Marro. “È davvero singolare che il comandante di un reparto di polizia penitenziaria venga aspramente criticato dagli uomini del suo reparto, evidentemente attraverso le organizzazioni sindacali, e difeso dal garante dei detenuti – scrivono in una nota congiunta -. La difesa fatta ex ufficio dal garante dei detenuti di Ferrara non fa altro che confermare la necessità di procedere al più presto alla sostituzione del comandante in questione, per le ragioni che con relativa chiarezza abbiamo espresso in conferenza stampa. Relativa chiarezza perché ci sono fatti e atti che cristallizzano tali fatti che non possiamo certo rendere noti al pubblico, né tantomeno al garante, ma che sono stati posti all’attenzione delle autorità competenti, compresa la comandante. Siamo consapevoli e convinti che un nuovo modello di gestione del carcere e dei detenuti sia assolutamente opportuno – proseguono – ma deve essere un modello che sia funzionale a garantire la dignità e la sicurezza dei lavoratori e dei detenuti. Per rispondere a questioni di organizzazione generale, quindi, non solo su Ferrara, non possiamo tacere il fatto che non si può pensare di aprire le stanze in maniera indiscriminata, lasciando che all’interno del carcere avvengano gli stessi reati che avvenivano fuori (furti, aggressioni e violenze varie, tanto per citarne alcuni), e senza assumere, spesso, idonei provvedimenti, nei confronti di coloro che di tali fatti dovessero rendersi responsabili. Queste considerazioni, che fin dall’inizio abbiamo espresso con ogni mezzo opportuno ed in ogni occasione hanno indotto, di recente, il capo del Dipartimento a dare indicazioni più chiare e puntuali alle strutture periferiche, con una lettera circolare, sull’apertura delle stanze, che devono essere effettuate attraverso un’adeguata selezione dei detenuti. In altri termini, l’accesso e il passaggio dal regime chiuso a quello aperto deve essere un premio per coloro che lo meritano e quelli che non rispettano le regole devono ritornare nel regime chiuso. Ci auguriamo che il garante possa condividere tale impostazione, anche al fine di rendere il carcere più efficace, rispetto alla necessità di rieducare coloro che le regole non le hanno rispettate all’esterno. Era questo il riferimento al pugno duro – concludono Campobasso e Marro – e non altro”
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