Editoriali
14 Dicembre 2015
Editoriale. Lo scaricabarile del decreto "salva-banche"

Lo schiaffo del soldato

di Marco Zavagli | 6 min

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88648bb8-fc77-46ca-b2de-62bddc1a8ae3Anche chi non ha fatto la naia avrà presente lo schiaffo del soldato. Si estrae a sorte il malcapitato, lo si gira di spalle e dietro di lui inizia la roulette degli scappellotti. Alla vittima tocca poi indovinare chi l’ha colpito.

A differenza del gioco di gruppo, dove in mezzo ci può finire anche un volontario, nella vicenda Carife c’è finito il risparmiatore. Che non ha scelto i suoi compagni di ventura. Altra grossa differenza, nello schiaffo del soldato se indovini chi ti ha dato il manrovescio, lo fai finire al tuo posto. Con le banche al centro ci sei sempre tu.

Con il ‘salva-banche’ e le polemiche che ne sono seguite il risparmiatore non ha nemmeno la magra consolazione di sapere da chi è stato riempito di sberle.

Di certo non lo aiuta il tourbillon di scaricabarile cui abbiamo assistito in questi giorni. Come da copione si è iniziato a incolpare l’attore più distante, l’Europa. Vedremo invece che era l’unico innocente.

“L’intervento del Fondo Interbancario nel salvataggio delle banche in crisi non è stato possibile per la preclusione manifestata da uffici della Commissione Europea, da noi non condivisa” lamentava Carmelo Barbagallo, capo della Vigilanza di Bankitalia, durante l’audizione alla Camera. Meno diretto Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi: “La nostra lettura del quadro normativo europeo è che è espressamente prevista la possibilità che i sistemi di garanzia dei depositi svolgano interventi preventivi volti a trovare delle soluzioni per le banche in crisi”.

Prime dichiarazioni e prime due smentite. In una precedente audizione in commissione finanze, il 26 novembre, era intervenuto anche Salvatore Maccarone, presidente del Fondo. Le sue parole non sono finite sui titoli dei giornali ma sono chiare: “la Commissione sull’intervento proposto dal fondo non ha ancora negato il suo assenso, ma la situazione si che si è determinata è durata per un periodo troppo lungo; si è perso del tempo utile per salvare Carife e le altre, contribuendo a far deteriorare man mano la situazione”.

Quanto alle parole di Sabatini, più che una smentita, serve una precisazione. Basta prendere la comunicazione sull’apertura della procedura di infrazione per l’intervento del Fitd in Tercas allegata a questo editoriale. La Commissione non è contraria, in determinati casi, alla concessione di aiuti di stato e li ritiene compatibili con il mercato interno se sono intesi a “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”. Quel che si contesta è che l’Italia, leggi “il governo”, non abbia configurato l’intervento del Fitd in Tercas come aiuto di Stato, venendo meno all’obbligo di notifica e di sospensione.

Dunque l’aiuto di Stato era possibile. Com’era possibile anche quello del Fondo. Infatti la Ue ha smentito pubblicamente Bankitalia e Abi a proposito di presunti veti sul salvataggio del Fondo: ha solo detto che, a seconda della misura scelta, l’Italia doveva adeguarsi alle norme sugli aiuti di Stato: “la decisione di non far intervenire il Fitd “è stata presa dalle autorità italiane”.

Per tener presente l’importanza che avrebbe avuto, a differenza del ‘salva-banche’, l’intervento del Fondo, vale la pena ricordare le parole del presidente della Fondazione Carife Riccardo Maiarelli in risposta alle magnifiche sorti e progressive ventilate da Renzi: “Non si consideri il decreto come la migliore soluzione possibile. Perché non lo è. Per nulla. É solo quello che ci hanno imposto”. E arriva al punto: “La schiena più dritta, il necessario coraggio nei confronti di Bruxelles e il doveroso rispetto nei confronti di azionisti e obbligazionisti avrebbe garantito tutt’altro epilogo”. L’epilogo diverso era stato già descritto da Bankitalia: “l’intervento del Fondo avrebbe consentito di porre i presupposti per il superamento delle crisi senza alcun sacrificio”.

E in cosa sarebbe consistito tanto coraggio da parte del governo? Nell’ammettere di essere, al solito, in ritardo.

In mezzo a tanto bailamme, infatti, è passata inosservata la notizia del salvataggio bis di Tercas. Avvenuta, badate bene, il 27 novembre. Si è creato un capitale a contribuzione totalmente volontaria da parte delle banche consorziate del Fidp evitando così qualsiasi contestazione. Per farlo, l’assemblea dei soci del Fondo ha approvato le modifiche che consentono di armonizzare con la normativa europea l’operazione, già bacchettata in precedenza dalla commissione finanze della Ue. Come? Con il cambiamento dello statuto. Proprio quello che si stava facendo nel caso Carife prima del tristemente noto 22 novembre.

E invece cosa hanno fatto Renzi e il ministro Padoan (quello degli “aiuti umanitari” che tante risate hanno provocato a Bruxelles)? Hanno accantonato l’idea di far intervenire il Fondo interbancario e dato vita al fondo di risoluzione e ad altre misure che, di fatto, sono aiuti di Stato (dichiarati, questa volta:  “Tali interventi  – scrive la Commissione – costituiscono aiuti di stato ai sensi delle norme europee) accettati dall’Ue nell’ottica di preservare la stabilità del sistema finanziario. Facendo così si applica il regime stabilito nel 2013 per le crisi bancarie e si evita di arrivare al 1° gennaio 2016, quando entrerà in vigore il meccanismo del bail-in. Ma anche il regime del 2013 prevede un bail-in “ridotto” per azionisti e detentori di obbligazioni subordinate. Qui a Ferrara se ne sono accorti in migliaia.

Aggiungiamo a questo il fatto che, nel caso di Carife, il Fidp si era mosso già in aprile. Che l’assemblea straordinaria del 31 luglio aveva approvato la sua entrata nella Cassa con una iniezione di 300 milioni di euro per l’aumento di capitale. Che l’eventuale ostracismo europeo per il presunto aiuto di Stato camuffato sarebbe stato superato con la modifica dello statuto ed ecco spiegato perché il sindaco di Ferrara e i suoi colleghi parlano giustamente di “tradimento.

Traduzione: fondi privati (capitali delle banche consorziate del Fidp, ‘slegate’ dalla subordinazione a Bankitalia che rendeva l’operazione assimilabile a un aiuto di Stato) provenienti da istituti privati avrebbero potuto rimettere in piedi le 4 grandi malate senza il sacrificio dei risparmiatori.

Un percorso tortuoso e difficile da decifrare. Bastino ad esempio le prime uscite fuori luogo del segretario regionale del Pd Calvano sulla pretesa bontà del salva-banche (“il governo ha fatto tutto quello che le norme italiane e europee consentivano di fare”, “Un raggio di sole che spunta nelle nebbie di queste settimane”) o le prime reprimenda di Tagliani, che – inizialmente mal indirizzate – si scagliavano contro i presunti diktat europei.

Per districarsi nel labirinto è utile il commento che l’economista Mario Seminerio ha consegnato a Radio Radicale per descrivere “uno degli ennesimi nodi italiani che arrivano al pettine”. “E’ inutile dire che la è colpa è dell’Unione europea – sostiene – quando in realtà sono due anni che le istituzioni italiane a tutti i livelli stanno traccheggiando a cercare di capire come diavolo si poteva fare a salvare queste 4 banche. Non è un caso che in Italia la direttiva del bail in sia stata approvata alla fine di novembre e pochi giorni dopo sia successo quello che è successo. Eravamo già in ritardo nell’iter parlamentare di approvazione come da consolidata tradizione italiana perché si stava cercando di trovare la toppa. La toppa non è arrivata perché in Italia si cerca di trovarla un minuto prima della mezzanotte. E invece è scattata la tagliola e ci sono andati di mezzo gli innocenti”.

E, state sicuri, piuttosto che sperimentare quella tagliola, gli innocenti avrebbero continuato a vita lo schiaffo del soldato.

La procedura di infrazione Tercas

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