Eventi e cultura
16 Febbraio 2015
Hugues Sheeren in biblioteca Ariostea parla di pari opportunità e della figura della "eterna segretaria"

Lavorare in Italia? “Non è un paese per donne”

di Redazione | 3 min

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unnamed (34)di Anja Rossi

La sindaca, l’assessora, l’avvocata. Tutti questi termini, voltati al femminile, provocano smarrimento, suonano male, sembrano un capriccio dei nostri tempi. Invece c’è dell’altro. Ne ha discusso ieri in biblioteca Ariostea Hugues Sheeren, professore belga ed esperto in tematiche di genere, che ha trattato del sessismo e della parità di genere dal punto di vista linguistico. Durante il secondo incontro del ciclo ‘Non è un Paese per Donne. La svalutazione del ruolo femminile’, organizzato da Sara Macchi e Simona Gautieri con la collaborazione dell’assessorato alle Pari Opportunità, si è voluto infatti analizzare quanto discriminatoria possa essere una lingua, nel quotidiano e soprattutto nel mondo professionale, ad esempio con le denominazioni di professioni declinate solo al maschile.

Perché un uomo può essere chiamato avvocato mentre una donna di pari livello rimane soltanto ‘signorina’ o viene scambiata per l’eterna segretaria? “Perché la lingua è una concezione del mondo, e non è mai neutra, ma rispecchia la società che la vive, i suoi stereotipi e i suoi valori”, spiega Hugues Sheeren. La lingua è dunque un elemento determinante per valutare quanto è sessista una società, ne è lo specchio. Nel caso italiano, gode di forte androcentrismo. “Si fa di tutto per inserire le donne nella storia, ma nella lingua rimane un blocco, che è puramente sociale e psicologico, differenziando ancora di più tra categoria dominante/maschile e categoria dominata/femminile. La lingua italiana – sottolinea il professore – ha lasciato invisibile la donna, e per linguisti e sociologi ciò che non ha un nome, di fatto, non esiste”.

La donna per prima, dunque, non riesce a definirsi, vive nell’incapacità e nell’inadeguatezza, non riesce a trovare l’idioma che la definisca. “La donna stessa finisce per percepire un termine come ‘avvocata’ come qualcosa che non va, inadeguato. Non si sente inclusa, e quindi non si sente nominata”. Eppure, sottolinea Sheeren, la grammatica italiana ha già tutte le regole necessarie per declinare i termini al femminile, come ha già fatto per cameriera, infermiera, portinaia, segretaria. È più difficile invece quando si tratta di cariche più alte, come chirurga, ingegnera, consola. Un blocco linguistico che la donna vive come un’inferiorità congenita. Capita anche che, se emerge nella scala sociale, scelga volontariamente di essere solidale con la categoria dominante, firmandosi come il direttore, il dirigente, il ministro.

“La conquista viene sottolineata con il titolo maschile, altrimenti rischia di essere sottovalutata”, spiega Hugues Sheeren, che racconta anche di come nei paesi francofoni venga distribuita già nelle scuole una guida per risolvere eventuali dubbi sulla conversione femminile dei termini. Anche a Ferrara, nell’amministrazione comunale, è in atto una riscrittura della modulistica senza differenziazione sessista. Sul sito del Comune è inoltre possibile fare suggerimenti e proposte anche da parte dei cittadini, per migliorare la comunicazione in modo da non renderla discriminatoria. “L’adozione di termini femminili – conclude Sheeren – spesso viene vista come un’imposizione, un limite alla nostra libertà. Forse dovremmo iniziare a cambiare idea, affinché diventi una battaglia utile a suggerire un contributo ulteriore, mettendo l’accento sui problemi legati alla discriminazione di genere”.

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