Eventi e cultura
1 Febbraio 2015
Il primo incontro di “Donne al lavoro” affronta le difficoltà pre e post maternità

“Le mamme non lavorano” e la favola delle pari opportunità

di Redazione | 4 min

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Il programma dei cicli di incontri che da sempre la biblioteca Ariostea si fregia di ospitare si è recentemente ampliato a comprendere riflessioni su di una “parità solo formale”, quale è quella della donna nel lavoro: la serie di eventi di “Donne al lavoro” ha infatti preso avvio venerdì pomeriggio davanti ad un pubblico eterogeneo sparpagliato qua e là sulle sedie. Nonostante poche di queste sono state occupate, tanta è stata l’attenzione per un argomento che l’assessore Annalisa Felletti ha definito essere “di estrema attualità”, e che dati e testimonianze non hanno (sfortunatamente) potuto che comprovare tale. Pregiudizi e stereotipi di genere sono presenti, anzi radicati, nella società benchè si provi a negarlo, ad esempio, “bollando come ‘strumento inutile’ – riporta l’assessore – l’istituzione di una Commissione per le Pari Opportunità, come recentemente accaduto in consiglio comunale”: la parità di genere è infatti data per scontata, ovvia.

Voci di donne, però, si alzano a riportare una realtà che è tutt’altra, a tuonare che ‘Le mamme non lavorano’ (come recita il titolo dell’incontro), a raccontare esperienze di vita personali per fornire volti ad un problema che “è trasversale – spiega l’avvocato Simona Gautieri, una delle organizzatrici dell’evento – e nazionale”. La regista teatrale Roberta Pazi, con una lettura introduttiva, affonda immediatamente: “Mia mamma è stata licenziata 30 anni fa perché donna e madre”, tuona il monologo. La penna (ma sarebbe più corretto parlare di tastiera, trattandosi di un brano tratto da un blog) è quella di Simona Gautieri, la quale ha conosciuto lo stesso destino, colpa di una società “che non è arrivata alla forma mentis di donna come lavoratrice – spiega la stessa autrice – e che invece commistiona ancora vita privata e vita lavorativa, tanto che la maternità è quasi una colpa da pagare”; spesso, troppo spesso, “una vera e propria anticamera del licenziamento”, le fa eco la co-organizzatrice Sara Macchi. Il problema non è però soltanto legislativo, nonostante la comprovata mancanza di strutture pubbliche per il sostegno alla maternità, ma culturale, perché il paese “considera la cura del figlio affidata in modo esclusivo alla madre – spiega Sara Macchi – quando invece altre società la assegnano alla famiglia in senso competo, quando non alla società stessa”.

E se mai fossero più esplicativi i dati delle parole di vita, questi non mancano: nel solo ferrarese, secondo una ricerca effettuata nel triennio 2008-2011, “60 lavoratrici denunciano discriminazione – illustra il sindacalista Cgil Riccardo Grazzi – una volta rientrate al lavoro dopo l’aspettativa”, così come diffuse sono le pressioni per i licenziamenti. Il quadro nazionale, poi, non pesa sulle spalle delle donne con minore intensità, perché “nel 2010 si è registrato il tasso di occupazione femminile più basso in Europa – continua Grazzi, riportando una indagine Istat del 2011 – il part-time è una situazione coatta e si riscontra che le donne diplomate entrino nel mondo del lavoro con ritardi, difficoltà e guadagni inferiori”. Una terza indagine, condotta nel bolognese su di un campione di 4500 persone, ha infatti evidenziato come gli stipendi superiori a 2000 euro al mese siano appannaggio, per il 90% dei casi, dei soli uomini; “a parità d’impiego e di situazione, il 78% delle donne percepisce somme inferiori – sottolinea Grazzi – a 1500 euro, contro una percentuale maschile che si attesta al 50%”.

Un’altra esperienza di vita scuote, infine, la platea: è quella dell’avvocato Angela Lo Cascio che, con voce commossa, racconta di quella “felicità dello scoprirsi incinta subito spodestata dal panico di dover riferire, in studio, la mia maternità”. Si parla di tempi di inattività, di sostituzione, di vere e proprie pressioni perché “se sei donna e sterile – spiega con un sorriso amaro – va benissimo”, eppure Angela Lo Cascio non smette di sperare “che mia figlia cresca fiera di esser donna e lavoratrice”. Dal pubblico si alza poi una riflessione, condivisa dalla relatrici, che dipinge il paese come “capace soltanto di riempirsi la bocca di famiglia e cultura cristiana”: l’incontro non è stato ricco di risposte alle questioni affrontate, ma “farsi le domande giuste – concludono le relatrici – è un ottimo punto di partenza: ancora oggi, le mamme non lavorano”.

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