Le cinque varianti di progetto che accompagnarono la costruzione dell’ospedale di Cona furono davvero necessarie a causa di necessità improvvise e adeguamenti a nuove norme o furono, come sostiene la procura di Ferrara, solo un modo per nascondere i difetti del progetto originario e gonfiare i costi dell’appalto? A rispondere al principale quesito nel processo sulla costruzione del nuova Sant’Anna sono i testimoni conclusivi delle difese, che si inoltrano nei dettagli tecnici relativi alla qualità del calcestruzzo usato per le fondamenta, alla regolarità degli impianti e dei certificati della struttura e alla maggiorazione dei costi dell’appalto causati dalle varianti di progetto. Testimonianze durante le quali si viene a sapere anche un fatto piuttosto clamoroso ancora all’oscuro del tribunale e della pm Patrizia Castaldini: lo stesso nucleo investigativo dei Carabinieri che curò l’inchiesta sarebbe stato impegnato almeno fino a luglio in una nuova indagine relativa agli appalti per l’ospedale.
La novità si viene a sapere durante l’esame in aula dell’ex responsabile dei lavori all’impianto elettrico, Giuseppe Schiesaro, chiamato in aula come teste da Michele Ciaccia, difensore dell’ex responsabile unico del procedimento (Rup) Giorgio Beccati. L’avvocato chiede conferma a Schiesaro – ricevendo risposta affermativa – di un suo colloquio con il nucleo investigativo dei carabinieri nel luglio di quest’anno, in qualità di “persona informata dei fatti”. Una domanda apparentemente slegata dal resto del processo che scatena un immediato botta e risposta con la pm Patrizia Castaldini, che si dichiara completamente all’oscuro della nuova inchiesta. A sedare gli animi è il giudice Luca Marini, che fa notare come evidentemente sia un altro pm della procura a coordinare la nuova indagine. La notizia è però confermata, seppur indirettamente, dalle parole del testimone: attorno all’ospedale di Cona sarebbe in corso una nuova inchiesta, sul cui contenuto non si hanno però ancora elementi ufficiali.
I colpi di scena non mancano però neanche nelle risposte alle domande più ortodosse. Ne è un esempio la questione del calcestruzzo delle fondamenta, secondo la magistratura inadatto a reggere l’umidità dell’acqua di falda che a Cona scorre pochi metri sotto il livello del terreno. Sandro Polidori, dirigente amministrativo della Calcestruzzi Spa (il cui ex ad Giovanni Colombini è imputato nel processo), afferma infatti come la ditta abbia fornito al Consorzio Cona “il prodotto che ci era stato richiesto”, ovvero “calcestruzzo prestazionale” nel quale “in base all’ambiente in cui viene collocato andrebbero aggiunti additivi”. Additivi che, secondo i riscontri della procura, non furono mai utilizzati per le miscele delle fondamenta.
Altre questioni all’ordine del giorno sono la regolarità degli impianti per i gas medicali nei laboratori, che furono ampliati attraverso la quarta perizia di variante. A fornire elementi aggiuntivi è un dipendente della Cooperativa Santini che si occupò dei lavori, che afferma come la variante “si rese necessaria a causa di un adeguamento normativo, che portò a uno stravolgimento dei laboratori che necessitavano di una serie di utilities e impianti”.Una versione in contrasto con quella della pm, che ribatte in aula che la normativa attualmente in vigore fosse già attiva dal settembre del 2002 (il contratto di appalto è del 2006) e sia anche citata esplicitamente nel testo della perizia di variante. Un discorso analogo è quello relativo agli impianti elettrici, su cui testimonia Schiesaro: l’ex responsabile dei lavori all’impianto elettrico afferma di aver effettuato i controlli secondo le normative vigenti all’epoca: “Non ci veniva richiesta una valutazione di dettaglio così approfondita come prevedono le nuove norme, e per il livello richiesto ha avuto modo di verificare che la corrispondenza (tra progetto e opera finale, ndr) c’era”. Una linea contestata dalla pm Castaldini, secondo cui le aziende del Consorzio Cona non avrebbero tenuto conto delle prescrizioni del decreto ministeriale 19/05/05 che obbliga a controlli più rigidi e senza autocertificazioni provvisorie.
A chiudere le testimonianze è l’avvocato Stefano Angeloni, al quale si rivolse Progeste durante il braccio di ferro con l’azienda Sant’Anna in merito ai costi aggiuntivi dell’appalto. La vicenda è ormai nota: a partire dal 2008 il consorzio ha chiesto all’azienda ospedaliera un aumento dell’importo dell’appalto per vie delle nuove opere (quelle contenute nella terza perizia, l’unica che non rientra nel processo) che veniva commissionate. “Opere estranee al contratto”, afferma Angeloni, ma che le imprese decisero di concludere perché “l’amministrazione si trovava in una posizione di preminenza che avrebbe esposto Progeste a rischi dal punto di vista dell’autotutela, come la rescissione del contratto di appalto da parte dell’amministrazione”. Il rischio era quindi quello di far saltare l’intero cantiere, ma lo studio legale di Angeloni trovò la soluzione: “L’azienda ospedaliera stava valutando l’introduzione di una perizia di variante; in caso contrario si sarebbe rischiato l’interruzione dei lavori. Si trattava di concordare il percorso per una tematica tecnica, e ci sembrò naturale risolvere il tema delle riserve”. Ovvero i soldi extra spesi dalle aziende e per i quali è possibile chiedere rimborsi durante gli appalti pubblici. Furono proprio attraverso quell’operazione che, secondo la procura, Progeste riuscì a incassare tre milioni di euro ‘extra’ che non corrispondevano ad alcuna opera. Gli stessi tre milioni ai quali secondo gli inquirenti si riferiva il direttore dei lavori Carlo Melchiorri durante una telefonata a Marino Pinelli (ex responsabile amministrativo del Sant’Anna) intercettata nel 2009, quando disse: “Abbiamo unto gli ingranaggi con tre milioni”.
E per quanto riguarda la “misteriosa” nuova indagine? In attesa di notizie dalla procura, l’unico elemento noto al pubblico è la querela depositata nel maggio del 2013 (e archiviata nel luglio di quest’anno) dalla Uil – Fpl relativo alla ‘esplosione’ dei costi per i servizi non sanitari affidati a Progeste, passati dai 23 milioni all’anno previsti nel primo contratto (2006) ai 53 milioni di euro a cui si fa riferimento nell’ultimo bilancio di previsione dell’azienda ospedaliera. Ad ascoltare l’udienza era presente anche il rappresentante del sindacato Enrico Franceschi, che davanti ai taccuini di estense.com afferma: “Non so a quale indagine si riferissero in aula. Per quanto riguarda il nostro esposto, era relativo alla questione trentennale dei servizi non sanitari nell’ospedale di Cona. Se i servizi non sanitari divorano sempre più risorse economiche, è evidente che mancheranno i soldi per erogare i servizi sanitari ai cittadini e occorrerà chiudere altri ospedali. Trenta milioni di euro all’anno per dieci anni fanno 300 milioni, quando 301 milioni è il costo ufficiale dichiarato dalle autorità sanitarie per l’ospedale unificato di Cona. In 10 anni si spende l’equivalente dei costi per un nuovo ospedale: si tratta di una bomba a orologeria finanziaria, prevedibile già dal 2006”.