Politica
3 Giugno 2013
Secondo un “dossier choc” le persone che potrebbero essere coinvolte nei crolli sarebbero più di mille

Impreparati al terremoto per colpa dei politici

di Redazione | 6 min

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admin-ajax.phpSecondo l’Ingv, gli amministratori hanno sottostimato il pericolo. E dopo un anno mancano il modello geologico per la sicurezza degli edifici e quello di evacuazione. Con  gravissimo rischio.

“Vi è stata una notevole sottostima del problema sismico in sede politico amministrativa”. Questo è il verdetto, rilanciato recentemente sul blog dall’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) a un anno di distanza dai terremoti del 20 e del 29 maggio. È un’affermazione grave e importante. Perché da un lato scarica la comunità scientifica da ogni responsabilità per le vittime e danni passati (“non vi è stata nessuna sottostima in sede scientifica”, afferma il massimo organo scientifico a cui è affidata la  sorveglianza della sismicità dell’intero territorio nazionale ). Ma, d’altro lato,  rende urgente sapere –per il futuro – se in questo anno “di pace” le forze politiche e amministrative hanno rimediato alle precedenti mancanze e se hanno preso adeguati provvedimenti in vista del terremoto (prossimo) venturo.

Provvedimenti che devono essere adottati con assoluta urgenza, dato che, nello stesso articolo, le valutazioni fornite dagli esperti delineano una situazione geologica secondo cui è probabile un terremoto che colpisca direttamente Ferrara in un tempo non molto lontano (vedremo ora cosa signifca). E questa volta, secondo una recente stima del Dipartimento della Protezione civile, se non si sarà fatto nulla, nella città sarebbero coinvolte nei crolli delle abitazioni più di mille persone, e più di 12mila rimarrebbero senza tetto. Un disastro di proporzioni enormemente maggiore delle ferite che siamo lasciai alle spalle.

Il terremoto (prossimo) venturo e i danni previsti. L’articolo dell’Ingv non fa –ovviamente – alcuna previsione sulle date, ma fornisce in maniera sintetica alcuni elementi che delineano in maniera chiara la situazione in cui ci troviamo. Un breve video evidenzia come Ferrara si trovi su una faglia compresa fra quelle a ovest che hanno generato i terremoti del 20 (Alto Ferrarese) e del 29 maggio (Mirandola)  e quella a est che ha causato il sisma del 6 giugno (al largo di  Ravenna). Tutte queste faglie sono collegate, e fanno parte di un unico sistema geologico. Caratteristica specifica di questo sistema di faglie è che producono “terremoti associati” “in tempi storici”. Ciò significa che tutte le faglie tendono a muoversi insieme, una dopo l’altra in tempi abbastanza brevi.

In che situazione ci troviamo ora? Possiamo essere certi che tutta l’energia si è “scaricata” e che la faglia sotto Ferrara per ora non si attiverà, rimandando il terremoto a “tempi geologici” (centinaia, migliaia di anni)?  In realtà la terra non si è ancora fermata. Durante quest’anno, dicono gli esperti, “abbiamo avuto più di 2500 terremoti, con un andamento di generale diminuzione […]. Tuttavia, il livello di sismicità dell’area è ancora superiore a quello di prima della sequenza.” e ci troviamo in una situazione tipica della “sismicità italiana, quella di manifestarsi spesso con la rottura di diversi segmenti di faglia adiacenti, che si attivano con scosse successive nelle ore e nei giorni (talvolta nei mesi) dopo una scossa principale.”

Si conferma, insomma, il quadro già più volte delineato dai geologi locali di una serie di “molle” (le faglie) che si “caricano molto lentamente” (tempi geologici) e che quando si “scaricano” lo fanno una dopo l’altra in tempi brevi (mesi). La molla sotto Ferrara è quella rimasta ancora carica.

E se il terremoto dovesse avvenire ora cosa succederebbe? Secondo i dati forniti da un “dossier choc sul rischio dei terremoti” recentemente pubblicato dall’Espresso, , le persone coinvolte nei crolli sarebbero 1027 e 12.478 rimarrebbero senza tetto. “Un paese sull’orlo del sisma. Mentre si fa poco per la prevenzione” titola il settimanale, che ha potuto consultare “migliaia di schede riservate, aggiornate periodicamente e mai rese pubbliche” conservate presso il dipartimento della Protezione civile.

Microzonazione insufficiente: cosa succederà al terreno e agli edifici? Il punto fondamentale per un’ efficace prevenzione è avere un modello geologico preciso e affidabile. Solo sapendo con precisione “cosa c’è sotto” si possono attuare interventi adeguati ed efficaci. Sapere che siamo in una zona simica è fondamentale ma non basta. I geologi lo vanno dicendo da tempo e lo hanno ribadito in un recente convegno.

E hanno anche affermato che non solo si è in ritardo con la “microzonazione” (l’indagine su piccola scala che dà un quadro preciso del suolo su cui sorgono gli edifici) ma che il metodo finora adottato sarebbe inadeguato, e potrebbe portare a risultati validi solo per piccole aree ma “poco e per nulla estendibile alle aree limitrofe”. Di questo passo non arriveremo dunque a individuare con precisione, ad esempio, le aree sottoposte a rischi di amplificazione e liquefazione (come è accaduto nell’Alto ferrarese), che sono le caratteristiche più pericolose del sisma (prossimo) venturo.

Dov’è il piano di evacuazione? L’altro elemento di sicurezza da preparare “in tempo di pace” è un piano di protezione civile che preveda – fra l’altro – ciò che si deve fare in caso di terremoto per mettersi in salvo evacuando le zone pericolose in attesa dei primi soccorsi. Il piano comunale di protezione civile approvato nell’aprile dello scorso anno dedica solo un paio di paginette al rischio simico.

Per l’evacuazione manca, a differenza di  altre città che hanno specifici documenti e procedure,  l’indicazione delle “Aree di attesa” (piazze, slarghi, parcheggi) da raggiungere  immediatamente dopo l’evento calamitoso oppure successivamente alla fase di segnalazione di preallarme. Sono quei luoghi di prima accoglienza, secondo il manuale operativo del Dipartimento di protezione civile, facilmente raggiungibili attraverso percorsi sicuri, possibilmente pedonali, individuati precedentemente su cartografia e forniti di apposita segnalazione. Uno strumento di protezione fondamentale soprattutto per le aree del centro storico medioevale, le più vulnerabili e difficili da evacuare. Nelle aree di attesa la popolazione dovrebbe ricevere le prime informazioni sull’evento e i primi generi di conforto in attesa di essere sistemata in strutture di accoglienza adeguate (alcune delle già  quali individuate nel piano comunale).

Responsabilità e catena di comando. La posizione assunta dall’Ingv risente  della “sindrome de L’Aquila”, dopo il processo che ha fatto tanto scalpore. Ma il problema, dal punto di vista della sicurezza dei cittadini, non è solo di chi sono le responsabilità passate:  è che la catena del comando funzioni correttamente in caso di crisi. Il sindaco Tiziano Tagliani, subito dopo il sisma,  segnalò chiaramente quello che non aveva funzionato e la grande confusione che si era creata.

Va tenuto ben presente che agli amministratori locali sono solo l’ultimo anello di una catena di decisioni, e che la responsabilità di tutti i passaggi precedenti non si può scaricare su di loro. Prima ci sono gli scienziati che studiano il territorio e monitorano i fenomeni – l’Ingv è il massimo riferimento istituzionale –, poi viene la Protezione civile, con il compito di comunicare ed allertare le autorità del territorio, che devono agire secondo quanto predisposto in tempo di pace. I sindaci non possono essere lasciati da soli a decidere –come è accaduto anche da noi – in situazione di allarme poco chiare.

A un anno di distanza, come’ è la situazione da questo punto di vista? L’impressione non è buona. Già a livello di esperti assistiamo a una forte tensione fra geologi e ingegneri che non accenna ricomporsi, la Protezione civile è sulla difensiva e ha manifestato la fragilità del suo ruolo nella catena di comando, e la comunicazione ai cittadini oscilla fra allarmismo e forti spinte alla (auto)censura.

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