Editoriali
31 Agosto 2017
La mafia nigeriana, un fenomeno radicato da anni. E la città estense è un esempio noto

La piaga di Ferrara? Il traffico

di Marco Zavagli | 5 min

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Mafia nigeriana? Non ne ho mai sentito parlare”. Così pochi giorni fa l’assessore Aldo Modonesi in un incontro della festa dell’Unità a Pontelagoscuro. Nemmeno a Benigni in Johnny Stecchino poteva riuscire così bene la battuta. Nel film si parlava di Palermo, altra cosa. Nel capoluogo siciliano è in corso un maxi processo contro la Black Axe, una della più potenti ramificazioni dell’organizzazione criminale africana.

Ferrara però non è affatto esente dal fenomeno. A parte le dichiarazioni pubbliche del prefetto Tortora (“un fenomeno che abbiamo notato già da tempo: effettivamente il tema esiste come riscontrato dalla presenza di piccoli spacciatori e controllo della prostituzione gestito da nigeriani”), esistono relazioni ufficiali datate e recenti che ben descrivono quello di cui il nostro assessore alla sicurezza non ha mai sentito parlare. E, anzi, individuano in Ferrara un caso tipico.

A scorrere ad esempio l’estratto “La criminalità nigeriana in Italia”, dal Rapporto sulla criminalità in Italia, pubblicato dal Ministero degli Interni dieci anni fa (diciamo 3650 giorni a disposizione per informarsi) , è difficile rimanere indifferenti.

In breve. Negli anni ’80 nel Nord Italia troviamo “isolate presenza di comunità nigeriane. Tra le regioni più coinvolte dalla malavita africana c’è l’Emilia-Romagna. Negli anni successivi “le investigazioni svolte, sia nel campo degli stupefacenti che dello sfruttamento della prostituzione, confermano l’esistenza in Italia di un reticolo criminale organizzato proveniente dall’Africa centrale e sottolineano i caratteri “mafiosi” di alcune compagini […] organizzate gerarchicamente e operative su scala intercontinentale”.

Ma non tutta la mafia nigeriana è uguale. Accanto a bande aggressive, responsabili di risse e rapine, come i Black Axe (organizzazione a processo, oltre che a Palermo, anche a Torino – concluso -, Fermo e Novara) e gli Eiye, “si assiste al proliferare di articolazioni ben più solide, delle vere e proprie holding”, modulate come moderne società d’affari, con tentacoli in vari settori del commercio e che si distinguono per “il mirato esercizio della violenza, per evitare l’allarme sociale”.

Le principali fonti di reddito sono costituite dal traffico di stupefacenti e dalla tratta di giovani donne da avviare alla prostituzione. I vertici organizzativi in Italia le cosiddette “madame”, “le uniche ad avere contatti con gli altri sodalizi in madrepatria. Per distogliere l’attenzione degli investigatori, possono allentare il contatto con le proprie vittime, incrementandone, però, la sudditanza psicologica con i noti riti voodoo”.

A loro volta i proventi dello sfruttamento della prostituzione vengono reinvestiti per lo sviluppo di altri traffici o di attività commerciali, quali afrikan market, beauty center, ristoranti, discoteche ed altri luoghi di ritrovo.

Quanto al narcotraffico, il rapporto spiega come “i nigeriani hanno saputo inserirsi appieno all’interno dei network globali, vantando collaborazioni con omologhi gruppi sudamericani e asiatici, attraverso una fitta rete di proprie articolazioni”. Il traffico di stupefacenti viene “implementato tramite canali di approvvigionamento che attraversano l’Olanda, la Spagna o la Germania”. Il metodo di importazione in Italia è quello dei cosiddetti “ovulatori”, ossia persone che ingeriscono ovuli di droga e li trasportano nel proprio corpo. Vi dice qualcosa? Anzi, ne avete mai sentito parlare?

Restringiamo intanto il cerchio. Tra i vari interventi identificati dal rapporto come rivelatori della presenza della mafia nigeriana ecco l’operazione “Novecento New”, eseguita dai carabinieri il 3 aprile 2006 tra Ferrara, Parma e Occhiobello (Ro): dieci ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti soggetti, responsabili di detenzione e spaccio di stupefacenti. Nell’ambito della stessa operazione erano già stati tratti in arresto 35 persone, 20 delle quali di nazionalità nigeriana.

Vicenda lontana nel tempo? Prendiamo allora il Quarto rapporto sulle aree settentrionali, per la presidenza della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso”, redatto dall’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università degli Studi di Milano, diretto da Nando dalla Chiesa, oggetto della sua audizione alla Camera lo scorso maggio. Siamo nel 2017. Su oltre 130 pagine più di 30 sono dedicate alla mafia nigeriana, i cui componenti “hanno acquisito negli anni una elevata capacità di mascherare il proprio ruolo e un elevato livello di conoscenza delle opportunità offerte dalle leggi italiane”. Fin dal loro arrivo in Emilia-Romagna si sono premuniti “di non infastidire e tendenzialmente di non commettere reati visibili e socialmente allarmanti, come furti e stupri”.

Grande importanza in questo mondo nascosto rivestono le associazioni etniche e pseudo-assistenziali. “Queste hanno infatti un ruolo preciso all’interno del reticolo strutturale delle organizzazioni criminali, fungendo principalmente da copertura rispetto alle attività illegali”.

Viene poi l’attività di riciclaggio. “Agenzie di Money Transfer, depositi in banche estere, investimenti in immobili in Italia e all’estero o trasporto di soldi “a mano”; questi sono i principali metodi di “lavaggio” del denaro”. Dai rapporti della Direzione Nazionale Antimafia emerge fra l’altro che i flussi di denaro in uscita sono solo per il 37,8%, diretti verso la Nigeria.

E, infine, ecco la sorpresa. In Emilia-Romagna l’Osservatorio ha verificato “un’accresciuta offensività” dei clan nigeriani. In questo quadro resta da sottolineare la particolare situazione venutasi a creare nella città di Ferrara, dove “diverse indagini hanno infatti evidenziato come il mercato della cocaina sul territorio ferrarese sia gestito da uomini di nazionalità nigeriana, confermando anche qui il legame esistente tra sfruttamento della prostituzione e traffico di droga. Gli uomini nigeriani organizzerebbero e gestirebbero cioè il traffico della cocaina, grazie anche ai proventi che le madames nigeriane ricavano dallo sfruttamento della prostituzione. Ed è pure accaduto, a livelli gerarchici minori, che ragazzi nigeriani si appoggiassero a giovani ragazze ex prostitute per il commercio al dettaglio o i trasferimenti degli ovuli di cocaina, una relazione sentimentale”.

Qual è allora la piaga di Ferrara? Ma il traffico no?

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