Cronaca
26 Giugno 2017
Tredici capi di imputazione per dodici imputati. Contestati dal falso in prospetto all’aggiotaggio

Carife. Per i pm menzogne a risparmiatori, Consob e Bankitalia

di Redazione | 6 min

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Tredici capi di imputazione per dodici imputati. È il conto che la procura di Ferrara presenta al termine dell’inchiesta sull’aumento di capitale del maggio 2011. Un aumento di capitale da 150 milioni viziato, secondo l’accusa, da falsità e da operazioni fittizie.

Ne devono rispondere a vario titolo Sergio Lenzi, allora presidente della Cassa di Risparmio di Ferrara; Daniele Forin, direttore generale; Davide Filippini, responsabile della direzione Bilancio, Michele Sette, responsabile della direzione Finanza; Paolo Govoni, consigliere del cda e legale rappresentante di Carife S.E.I.; Teodorico Nanni, forlivese di 70 anni, consigliere del cda e legale rappresentante di Banca di Credito e Risparmio di Romagna; Michele Masini, parmense di 57 anni, socio della Deloitte & Tanche, società di revisione; Ezio Soardi, bresciano di 76 anni, legale rappresentante della Banca Popolare di Valsabbina; Germano Lucchi, cesenate di 81 anni, legale rappresentante della Cassa di Risparmio di Cesena; Adriano Gentili, cesenate di 70 anni, direttore generale della Cassa di Risparmio di Cesena; Spartaco Gafforini, bresciano di 71 anni, direttore generale della Banca Valsabbina.

Le accuse che piombano sul capo di coloro che allora erano i massimi rappresentanti della banca sono forse più gravi dal punto di vista della responsabilità sociale collettiva che dal punto di vista penale. I pm Stefano Longhi e Barbara Vavallo che hanno vergato il provvedimento di fine indagini parlano di menzogne rivolte ai risparmiatori, alla Consob, a Bankitalia. Menzogne che avrebbero nascosto le reali difficoltà della banca mentre di fronte al pubblico si prometteva un futuro migliore, di crescita per l’istituto di credito e benessere per gli azionisti.

Veniamo alle accuse. A Forin, Lenzi, Filippini e Masini è contestato il falso in prospetto (capo 1) perché allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per Carife, all’epoca in bonis e ora in liquidazione coatta amminsitrativa nel prospetto informativo relativo all’offerta in opzione agli azionisti e alla successiva offerta al pubblico di oltre 7 milioni di azioni ordinarie di Carife relative all’operazione di aumento del capitale per un controvalore di circa 150 milioni, avrebbero nascosto al potenziale investitore informazioni rilevanti per la corretta valutazione del rischio. In particolare avrebbero omesso di evidenziare la raccomandazione di Bankitalia (contenuta nelle comunicazione del 20 ottobre 2010 e del 29 aprile 2011) circa le caratteristiche dei destinatari dell’offerta, vale a dire che l’aumento di capitale doveva essere rivolto a soggetti in grado di valutare il rischio e dotati di adeguata capacità patrimoniale e finanziarie. Altre omissioni sono contestate, in riguardo alle indicazioni di Bankitalia.

I quattro dirigenti avrebbero fornito inoltre informazioni false e fuorvianti ai potenziali investitori, occultando gli effetti sulle previsioni formulate per gli anni 2011-2014 derivanti dai dati reali di bilancio al 31 dicembre 2010. Un esempio tra tanti: le proiezioni per il triennio erano sensibilmente diverse rispetto ai risultati effettivamente conseguiti. Le perdite previste erano di 23,8 milioni. Quelle effettive di 58,4.

Si contesta poi l’omissione nel non evidenziare la rilevanza del mancato aggiornamento del prezzo di emissione di ciascuna azione (fissato a 21 euro) e calcolato in ragione degli utili e delle perdite solo previste, queste ultime determinate sulla base di dati sensibilmente diversi da quelli effettivi.

A Forin, Lenzi e Filippini viene poi contestato (capo 2) l’aggiotaggio per aver diffuso notizie false e aver posto in essere artifici utili a provocare una sensibile alterazione del prezzo relativa all’offerta in opzione agli azionisti e alla successiva offerta al pubblico. Un comportamento che avrebbe inciso in modio significativo sull’affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale di Carife. Come è stato possibile? depositando in Consob un prospetto informativo caratterizzato da falsità e omissioni e non aggiornando il prezzo di emissione delle azioni.

Ancora Forin, Lenzi e Filippini devono rispondere di ostacolo alle funzioni di controllo degli organi di vigilanza (capo 3). Questo per aver pubblicato presso la Consob un prospetto incompleto, incoerente e fuorviante

Sotto lo stesso profilo, sempre Forin, Lenzi e Filippini insieme a Masini (capo 4) avrebbero impedito la vigilanza della Consob esponendo nel prospetto informativo fatti materiale non rispondenti al vero riguardo alla situazione patrimoniale di Carife.

Di nuovo Forin, Lenzi e Filippini sono chiamati in causa (capo 5) per aver ostacolato le funzioni di vigilanza anche della stessa Bankitalia. Palazzo Koch, in seguito all’ispezione del 2009, aveva sollecitato la Cassa ad adottare iniziative per migliorare il livello di patrimonializzazione dell’istituto e ad approvare un nuovo piano industriale, procedendo quindi all’aumento di capitale. Gli imputati avrebbero trasmesso a Bankitalia un piano industriale che non venne nemmeno sottoposto al cda. Quel documento secondo la procura fu rielaborato da Filippini sulla base di quanto è prodotto dalla società di consulenza cui si era affidata Carife, che invece proponeva già allora – parliamo del novembre 2011 – un piano di riduzione del personale di 10 milioni di euro e un contenimento dei costi delle filiali.

Lenzi, questa volta in perfetta solitudine, è accusato di aver diffuso notizie false (capo 6) per alterare il prezzo relativo all’offerta in opzione agli azionisti e alla successiva offerta al pubblico, incidendo così in modo significativo sull’affidamento riposto dal pubblico sulla stabilità patrimoniale del gruppo. Lenzi per fare ciò pubblicò comunicati stampa in cui si tessevano le lodi munifiche del futuro aumento di capitale. E soprattutto si giustificava l’operazione con l’obiettivo di “rispettare in anticipo i parametri di Basilea 3. E invece l’operazione era stata sollecitata da Bankitalia in seguito all’ispezione del 2009, occultando così la grave difficoltà finanziaria della banca.

Anche Forin avrebbe diffuso notizie false (capo 7) in vista dell’aumento di capitale. Le sue dichiarazioni di allora parlavano di operazione prevista dal piano di industriale 2011-2014, anch’egli ben guardandosi da fare alcun riferimento alle prescrizioni di Bankitalia.

Tutti gli imputati eccetto Masini, invece, sono accusati anche di formazione fittizia del capitale (capo 8). La loro azione congiunta secondo i pm Stefano Longhi e Barbara Cavallo ha concorso a causare il dissesto della Carife. Questo perché, nonostante l’intervento di Bankitalia e le relative critiche sollevate, hanno provocato un aumento fittizio del capitale del Gruppo per un importo di almeno 15 milioni di euro tramite la sottoscrizione reciproca di azioni tra Carife, Banca Popolare di Valsabbina e Cassa di Risparmio di Cesena. Qui entrano in gioco Govoni e Nanni quali legali rappresentanti di Carife S.E.I. e Banca di Credito e Risparmio di Romagna. I due istituti sottoscrissero la partecipazione in Banca Popolare di Valsabbina nell’ambito delle disponibilità finanziarie riconducibili al Gruppo Carife.

La Cassa di Risparmio di Cesena ha aderito all’operazione di aumento di capitale tramite l’acquisizione di 238mila azioni al prezzo di 21 euro per un controvalore di 5 milioni. A sua volta Carife intervenne nel capitale di Cesena acquistando 260mila azioni al prezzo di 19,23 per un ammontare complessivo di 5 milioni. Valsabbina aveva aderito all’aumento di capitale acquisendo 476mila azioni, pari a 10 milioni. Il contraltare vide il Gruppo Carife intervenire all’incirca per la stessa cifra nel capitale di Valsabbina con tre somme. Un terzo investito da Carife, un terzo da Carife S.E.I. e il restante da Banca di Credito e Risparmio di Romagna.

Operazioni simulate tra Ferrara e Cesena che fanno ricadere (capo 9) sulle spalle di Forin, Lenzi, Filippini, Sette, Lucchi, Gentili e Teodornai una ulteriore accusa di aggiotaggio.

Stessa accusa (capo 10) per lo scambio Ferrara-Valsabbina. Qui imputati sono Forin, Lenzi, Filippini, Sette, Govoni, Nanni, Soardi e Gafforini.

Da queste operazioni simulate deriva un altro capo di imputazione (capo 11) a carico di tutti gli imputati. A seconda dell’operazione di riferimento ognuno di loro avrebbe comunicato che l’importo massimo dell’aumento di capitale era stato raggiunto. Tutto falso secondo la procura, dal momento che almeno 15 dei 150 milioni previsti erano stati sottoscritti in modo fittizio. Da qui il reato di aver ostacolato la funzione di vigilanza di Bankitalia.

Ora si attende la decisione del gip per la fissazione dell’udienza preliminare. Incerta è la data, sicuro il luogo: il centro anziani il Quadrifoglio di Pontelagoscuro. Il nome di una pianta che dovrebbe portare fortuna, ma che in tutto questa vicenda suona alquanto beffardo.

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