Economia e Lavoro
6 Marzo 2017
L'azienda ferrarese è una delle quattro società del riciclo del Pvc autorizzata a usare il Dehp, ma una Ong ambientalista vuole portare il caso davanti alla Corte di Giustizia

Il plastificante nocivo dietro la crisi Vinyloop

di Daniele Oppo | 6 min

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Dietro alla momentanea crisi della Vinyloop Ferrara, azienda che da ormai 15 anni porta avanti un progetto pilota fra i più avanzati al mondo per il riciclo del Pvc, c’è un plastificante – il Dehp – considerato nocivo per la salute umana essendo un distruttore endocrino, con dei risvolti che potrebbero arrivare davanti alla Corte di Giustizia Europea.

Già nel 2015, a ridosso della scadenza dell’autorizzazione per l’uso del plastificante, l’impianto di Ferrara ha prodotto solo 4.511 tonnellate di Pvc riciclato, con un calo del 13,5% rispetto al 2014 (nel 2012 l’azienda dichiarava di produrre 10mila tonnellate all’anno di R-Pvc) . Calo che va aggiungersi a quello del materiale riciclato con la tecnologia TexyLoop (-16,25%), inaugurata nel 2008. In tutto questo, oltre alla crisi economica generale, influisce per una buona parte il clima d’incertezza sulla regolamentazione per l’uso del Dehp.

Il Dehp – che sta per di-2-etilesilftalato (o diottilftalato) – è un plastificante molto usato in tutto il mondo per la produzione del Pvc, soprattutto perché ha un costo più basso, ma è inserito tra le sostanze estremamente preoccupanti dal regolamento Reach (dall’acronimo “Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals” – Registrazione, valutazione e autorizzazione delle sostanze chimiche) e per il cui uso è oggi necessaria un’autorizzazione speciale. Il suo uso è stato vietato in Europa per alcune categorie di prodotti perché ha potenziali effetti molto negativi sulla salute umana: sia il Dehp che il suo metabolita Mehp sono potenziali distruttori endocrini. Per questo la linea è quella di spingere verso produzioni con sostanze alternative e più sicure.

Non legandosi permanentemente alla plastica, il Dehp viene rilasciato sia per contatto (o, meglio, per estrazione) che per evaporazione, tanto che l’Unione Europa ha stabilito un certo grado di preoccupazione per quanto riguarda la sua presenza in prodotti per l’infanzia (come i giocattoli) o in quelli medicali (soprattutto dove il contatto è prolungato nel tempo, come nell’emodialisi e nelle trasfusioni) e, per l’esposizione dei lavoratori che trattano il Pvc. Gli effetti potenzialmente nocivi per la salute riguardano disfunzioni dell’apparato riproduttivo maschile,  dei reni, la carcinogenicità (capacità di generare un carcinoma) e mutagenicità (capacità di indurre mutazioni genetiche). Altri Paesi, come gli Usa e il Canada hanno previsto linee guida stringenti per la sua concentrazione nei prodotti, basata sulla quantità di esposizione alla sostanza considerata tollerabile sulla base di studi scientifici (perlopiù effettuati sugli animali, mentre non ci sono ancora evidenze conclusive sui reali effetti a lungo termine sull’uomo), ma la strada rimane quella della sostituzione.

La Vinlyloop di Ferrara è però una delle tre aziende del riciclo della plastica in Europa (insieme alla Stena Recycling e alla Plastic Planet di Cittadella) ad aver ottenuto nel 2016 l’autorizzazione della Commissione Ue a usare fino al 2019 il Dehp per il Pvc di riciclo, nonostante il Parlamento Europeo si fosse espresso in maniera decisamente contraria, così come contrarietà era stata espressa dallo European Environmental Buereau.

Molto del materiale trattato dalla Vinyloop contiene già il Dehp e così i prodotti finali da R-Pvc – sandali di plastica, materiale per la pavimentazione, maniglie, sedie per gli esterni e tappettini per la ginnastica -, che però oggi sono soggetti a una regolamentazione più stringente che probabilmente riduce ancora di più il mercato dell’azienda, che oggi si ritrova – come ha riportato l’assessore Roberto Serra rispondendo a un’interrogazione di Alessandro Talmelli (Pd) – con gli impianti che lavorano “al 50%, con cassa integrazione per 12 persone di 13 settimane”.

Nell’analisi socio-economica effettuata da Vinyloop e allegata alla richiesta di autorizzazione si legge che il “Dehp contenuto negli articoli in uso nell’Unione Europa al momento continuerà ad esserci nei prodotti flessibili derivanti dal riciclo del Pvc per i prossimi 30 anni, anche nella situazione teorica in cui il suo uso come plastificante nel Pvc vergine non sia più autorizzato. Inoltre – prosegue l’azienda – […] gli articoli presenti, immessi nel mercato dai riciclatori integrati, continueranno a contenere Dehp, così come gli articoli flessibili riciclati importanti nell’Unione. Infatti, gli articoli d’importazione possono contenere concentrazioni di Dehp più alte per il fatto che non esiste una simile regolamentazione generale per il suo uso in altre regioni (come la Cina) come invece esiste in Europa dagli ultimi dieci anni e più”.

Questa ricostruzione è bastata alla Commissione europea per il rilascio dell’autorizzazione fino al 21 febbraio 2019, perché “i vantaggi socio-economici prevalgono sui rischi che l’uso della sostanza comporta per la salute umana e non esistono idonee sostanze o tecnologie alternative in termini di fattibilità tecnica ed economica per i richiedenti e taluni loro utilizzatori a valle”. L’autorizzazione esclude però che l’R-Pvc contenente Dehp possa essere usato per la produzione di giocattoli per bambini e adulti (ad esempio sex toys), articoli per uso domestico inferiori a 10 cm che i bambini potrebbero masticare o succhiare, prodotti da indossare a contatto diretto con la pelle, cosmetici e materiali a contatto con prodotti alimentari.

La decisione però non è piaciuta affatto alla ClientEarth, una Ong europea che si occupa della salvaguardia dell’ambiente dal punto di vista legale. Subito dopo l’approvazione a marzo dello scorso anno, Vito Buonsante, avvocato italiano della Ong spiegava che “Il Dehp non rimane nella plastica, fuoriesce e danneggia sia le persone che l’ambiente. Molte aziende europee hanno sostituito con successo il Dehp con sostanze meno dannose. Questo voto crea un precedente negativo che dice che in Europa sono ancora benvenute sostanze tossiche obsolete”. Nell’agosto del 2016 l’associazione aveva chiesto alla Commissione Ue di rivedere la propria decisione, concedendo un termine di 12 settimane. Qualche giorno fa ha deciso di adire le vie legali, citandola in giudizio davanti alla Corte di Giustizia. “La Commissione ha dato semaforo verde al Dehp, anche se alternative più sicure sono state ampiamente utilizzate per anni – afferma in un comunicato della Ong, Alice Bernard, una dei legali di ClientEarth -. Senza alcuna prova da parte delle aziende sul perché abbiano bisogno di usare una sostanza così dannosa, il fatto che abbiano ottenuto il permesso evidenzia grandi difetti nel sistema che dovrebbe salvaguardare la nostra sicurezza. Autorizzare alcuni produttori all’uso di sostanze chimiche che sono nella lista nera, danneggia le aziende innovative che hanno puntato su alternative più sicure. È questo il modo in cui l’Ue vuole si faccia business?”.

Per la Vinyloop, al di là dei possibili effetti della causa intentata contro la Commissione da parte di ClientEarth, è evidente che le prospettive a breve termine non sono delle migliori: nel 2019 l’Ue dovrà rivalutare l’autorizzazione all’uso del Dehp  e non è detto che la conceda nuovamente, anche perché il Parlamento europeo si è già espresso in maniera decisamente contraria al suo uso tout-court e le pressioni potrebbero aumentare. È chiaro che in questo modo è difficile programmare un business proficuo. Anche per questo appare ragionevole la proposta di Fausto Chiarioni della Filctem-Cgil su quale sia la strada migliore, oggi: “Riconsiderare l’ambito della ricerca, non solo perché può essere la chiave per una possibile soluzione alla questione degli ftalati, ma anche per un senso industriale, per un’immagine di ritorno e un valore sociale”.

(Estense.com ha provato a contattare la Vinyloop inviando alcune domande all’attenzione dell’ing. Francesco Tarantino, manager dell’azienda, senza ricevere risposta).

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