Economia e Lavoro
25 Febbraio 2017
Per la Filctem Cgil non è solo una crisi di mercato: "Bisogna tornare alla politica originale dell’azienda"

Caso Vinyloop: “No alla cassa integrazione, si torni a fare ricerca”

di Redazione | 2 min

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Non si risolve con la cassa integrazione la questione dell’azienda Vinyloop, per la quale i sindacati il 14 febbraio si sono rifiutati di firmare l’accordo. La situazione sembra infatti essere un po’ più complessa rispetto a una “temporanea crisi di mercato”, che sembrava unico motivo per giustificare una cassa integrazione di 13 settimane e 13 dipendenti sui 18 dell’azienda. Una faccenda che ha sollevato anche l’attenzione politica e che è in attesa di entrare in consiglio comunale.

Vinyloop Ferrara, d’origine, nasce come un impianto sperimentale di ricerca per il riciclo di pvc, tramite una joint-venture fra il gruppo Solvay e il francese Ferrari. La quota di Solvay però, viene rilevata nel 2016 dal gruppo inglese Ineos, che cambia radicalmente la politica industriale dell’azienda, trasformandolo da impianto sperimentale di ricerca ad impianto esclusivamente di produzione.

A questo si aggiunge il fatto che sono state individuate come nocive dall’Unione Europea alcune sostanze (ftalati) presenti all’interno del pvc. Tutto ciò ha portato ad un drastico calo del venduto di Vinyloop, che si trova con 1 milione e 400 mila euro di disavanzo.

“Il problema principale – sostiene Fausto Chiarioni della Filctem-Cgil – è che non si può pensare di trasformare quello che nasce come impianto di ricerca in un sistema di produzione industriale, perché non ci sono i volumi. Per rendere l’idea, un impianto industriale è 100 volte quello della Vinyloop. E’ una cosa che rende impossibile il pareggio di bilancio, oltretutto oggi che il petrolio si è abbassato e che ha reso il pvc vergine (e quindi non riciclato) molto concorrenziale. Occorre riconsiderare l’ambito della ricerca, non solo perché può essere la chiave per una possibile soluzione alla questione degli ftalati, ma anche per un senso industriale, per un’immagine di ritorno e un valore sociale. Non firmiamo l’accordo perché non si tratta di un calo temporaneo del petrolio (per il quale poi bisognerebbe avere speranza), ma perché si tratta di prendere una decisione basilare sul carattere dell’azienda”.

Se Ineos non sembra incline ad abbandonare l’esclusività della produzione, lo è però Ferrari (sebbene la sua quota non raggiunga quella di Ineos) che conviene sulle strategie di ripresa fondate sul ripristino della ricerca e sull’individuazione di altri soci, e “qualcuno è già interessato”. Il 23 ci sarà un incontro con la proprietà, in cui  “confidiamo nel buon senso”.

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