Eventi e cultura
25 Febbraio 2017
Alessio Boni e Marcello Prayer nella piece tratta dal racconto di Joseph Conrad

Quando il duello diventa la vita

di Redazione | 4 min

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(foto di Federico Riva)

di Federica Pezzoli

Per questa primissima volta a teatro de “Il duello” di Conrad – fino a ora c’era stata solo trasposizione cinematografica, opera prima di Ridley Scott – si sono riuniti sullo stesso palco, grazie anche a solide amicizie e alla stima professionale, grandi nomi della scena italiana e non solo: Francesco Niccolini, autore fra gli altri anche di Marco Paolini, che ha tradotto e adattato per la scena il testo di Conrad; Marcello Prayer, interprete capace e versatile oltre che apprezzato didatta; Francesco Meoni, alle prese con ben cinque ruoli; e dulcis in fundo Alessio Boni, attore molto amato e premiato a teatro, al cinema e in tv, che qui è nella doppia veste di interprete e regista, insieme a Roberto Aldorasi.

Giovedì 23 è stata la prima dei duellanti Boni-Prayer al Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara, dove rimarranno in scena fino al 25 febbraio. Insieme a loro e a Meoni sul palco la violoncellista Federica Vecchio, che oltre a suonare interpreta i ruoli femminili della vicenda.

“Fra i miei antenati, ho avuto due ufficiali di Napoleone: un mio prozio materno e il nonno paterno. Si tratta dunque quasi di un affare di famiglia”: così scriveva Joseph Conrad a un amico a proposito del racconto “The duel”. Ecco da dove è nato lo strano caso di un polacco che, in inglese, racconta una sorprendente vicenda francese, anzi napoleonica, tratta da una storia vera. Due ussari della Grande Armée di Napoleone, Gabriel Florian Feraud, guascone iroso e irascibile, e Armand D’Hubert, posato e cinico nobile del nord: in tutto l’esercito dell’imperatore dei francesi si parla della loro diatriba che, più importante delle battaglie e della carriera, li accompagna da vent’anni.

Gli eserciti e l’Europa stanno cambiando, i retaggi della vecchia etica cavalleresca stanno svanendo, cedendo il passo a eccidi sempre più sanguinosi, che lasciano gli eserciti decimati. Ma neppure “la marcia di cadaveri verso una tomba lontana”, la campagna di Russia, distoglie i due dalla propria rivalità, attaccati a quel senso dell’onore che sta scomparendo in un mondo di ministri laidi, di gente che manovra per convenienza. La nuova morale è: “la coscienza finisce lì dove finisce il vantaggio”.

Feraud, degradato ed esiliato, rimarrà coerente e cocciuto nella sua fedeltà all’epica della Francia napoleonica. D’Hubert si adatterà suo malgrado al nuovo ordine post-napoleonico, anche se questo gli lascerà una strana sensazione di vuoto e noia, la nostalgia di quando ventenne si domandava: “quant’è stupido morire qui in questa desolazione, in questo grigiore. Perché?” L’unico sentimento in grado di dare consolazione, una vera pace, a lui uomo di guerra, è l’ambito amore della giovane Adèle.

Tuttavia non c’è giudizio, non ci sono certezze. Conrad non parteggia per nessuno dei duellanti, entrambi sembrano avere una parte di ragione: Feraud nel suo ‘j’accuse’ verso chi si è rifugiato nella molle tranquillità della propria casa invece di continuare a lottare nel nome della grande Francia diventata impero, D’Hubert che sembra cercare la pace e l’amore, anche al prezzo del compromesso. E forse la ragione di questa impossibilità di identificarsi del tutto con uno solo dei duellanti è perché rappresentano i due lati della stessa medaglia: le personalità dei due contendenti rappresentano la dualità insita e irrisolta in ognuno di noi, il nostro peggiore, o migliore, avversario siamo noi stessi. “Il duello è la vita” e quando l’avversario non esiste più avete “rinunciato a qualcosa di voi”.

Ecco il significato della decisione di D’Hubert, quando nel duello finale con le pistole sceglie di tenersi i suoi colpi in canna e di finirla, di lasciarsi alle spalle quella parte di sé che il suo avversario incarna: Feraud all’improvviso diventa “un uomo che per quel che mi riguarda non esiste più”. Ma Conrad, Boni e i suoi compagni di scena non rinunciano a interrogarci: la serenità che D’Hubert sembra trovare è la “tetra serenità del deserto dove c’è pace perché non c’è vita”?

La sfida di narrare il duello e i duellanti di Conrad all’incrocio fra letteratura, cinema e teatro è stata pienamente vinta da Boni, che è anche al suo esordio come regista, e da Prayer: i due sembrano duellare sul serio per rubarsi la scena a vicenda in scontri che sono danze orchestrate dal grande maestro d’armi. Bellissima la cronaca della campagna di Russia, che da epica spedizione militare si trasforma, assurda carneficina e in tragica ritirata, il tutto narrato in un doppio monologo serrato nel quale le due voci si rincorrono, si sovrappongono, si rincorrono, si fondono, mentre due luci illuminano i due eterni contendenti incrociandosi.

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