Editoriali
10 Maggio 2016
L'editoriale di Estense.com. Del Bronx ci lamentavamo anche vent'anni fa. Oggi c'è chi non vuole nemmeno sentire nominare 'integrazione'

L’altalena

di Marco Zavagli | 5 min

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Credo che da domani faticherò a guardare come prima una altalena. L’intervista che la signora Silvia B. ci ha consegnato mi rimarrà dentro. Come un lutto.

Si dice che per trasformare gli oggetti basta essere un po’ maghi. Scopro che l’arte dell’incantesimo non è prerogativa di streghe e fattucchieri. L’odio e il disprezzo rendono dilettante qualunque mago merlino. E così, con un colpo di bacchetta, visti i tempi sostituita da un i-phone, la signora Silvia B. è riuscita a tramutare un oggetto simbolo dell’innocenza in un’arma di segregazione.

“Su quell’altalena ci devono andare i bambini, non i negri spacciatori. Sono animali, non sono persone, sono negri spacciatori” dice con atroce pacatezza la signora Silvia B. a Daniele Oppo. Nemmeno lo zelante autista di Montgomery che ordinò a Rosa Parks di far posto sull’autobus a un passeggero bianco era riuscito in tale incantesimo. Lui almeno, nel lontano (lontano?) 1955, cercava di far rispettare un regolamento. Quell’altalena di piazzetta Toti, zona Gad, è vietata ai negri. Negri che, per definizione, sono spacciatori. Compresa la ragazza di vent’anni che vi era seduta.

Lei e tutti quelli attorno a lei “sono animali, non sono persone”. Ecco perché ci si sente in diritto di fotografarli, di spedire alle autorità la foto di una ragazza di venti anni seduta su un’altalena

Lei e tutti quelli attorno a lei “sono animali, non sono persone”. Ecco perché ci si sente in diritto di fotografarli, di immaginare di spedire alle autorità la foto di una ragazza di venti anni che in pieno giorno è seduta su un’altalena. Anche se non stanno facendo nulla di male. Che importa: l’avranno fatto o lo faranno. Sono negri. Sono animali. Sono sicuramente spacciatori. E, soprattutto, sono seduti su un’altalena.

Tanto basta per far scoccare il colpo di bacchetta. Ed ecco che il male si ribella a un ingenuo scatto fotografico. La ragazza si sarà chiesta perché qualcuno la deve ritrarre senza il suo consenso. Lei è negra, è animale, è spacciatore. Non spaccia? Allora sarà una puttana. Per lei non vale la legge sulla privacy. Per fotografarla non serve il suo consenso. Ma lei non lo sa e reagisce con veemenza. Strattona un braccio della sconosciuta. Un gruppo di connazionali la aggredisce. In realtà solo uno, quello con il “volto butterato”. Chissà, forse il fidanzato della ragazza. Ma più probabilmente il suo magnaccia. Questi afferra per un braccio la signora. Commette, non va dimenticato, un reato. Si chiama violenza privata. Probabilmente ingiuria anche Silvia B.. Anche se il dipendente Cisl che l’ha salvata dalla furia del branco – a noi riferirà “accorso perché la situazione si stava animando”- dice di aver sentito solo le frasi ‘tu non fai foto’, ‘noi no drogati’.

Il finale, anche questo, è leggermente diverso da come sembrava in un primo momento. Nessuno si è dileguato. Il coraggioso soccorritore che in pieno Bronx si stava tranquillamente fumando una sigaretta fuori dall’ufficio non è stato sgozzato. La signora è stata accompagnata nella tabaccheria – dove doveva comunque andare – e qui ha atteso senza cordoni sanitari l’arrivo dei carabinieri.

Se ai militari la signora Silvia B. ha raccontato l’episodio così come l’ha riferito a noi, è facile immaginare che le abbiano semplicemente consigliato di fare, se voleva, denuncia.

Intanto, poche ore dopo, la vicenda era già diventata un caso da copertina. Con politici che intervengono per chiedere “a sindaco e assessore competente di adoperarsi per studiare misure (alcune delle quali suggerite dagli stessi residenti) in grado di alleviare il profondo disagio di chi abita” in zona. Ops, scusate, ho virgolettato un intervento del consiglio comunale sbagliato. Questo era tratto dall’assemblea del 23 settembre 1997. Quasi vent’anni fa. Oggi come allora gli stessi problemi. Difficile forse concentrarsi totalmente sui negri.

A ogni modo, negri o meno, la signora Silvia B. lo ha detto chiaro e tondo: “Non voglio nemmeno sentire nominare il fenomeno integrazione”. E di questo passo, vista la pretesa esclusività dell’altalena, aspettiamo il prossimo passo verso la segregazione.

E sono sicuro che tanti saranno d’accordo. Li leggo per ragioni professionali tutti i giorni i loro commenti. Prima credevo che fossero sfoghi da tastiera. Ma quell’altalena mi ha aperto gli occhi. Tanti nostri concittadini la pensano esattamente come la signora Silvia B. Per loro gli esseri umani si dividono in chi può salire su un’altalena e chi no. Immagino già il disgusto con cui leggeranno, e commenteranno, queste righe.

Salite su quell’altalena. Fatevi scattare una foto quando le corde vi portano verso l’alto.
E pubblicatela in tutti i posti possibili di questo mondo

A loro va una richiesta. Evitate di leggere. Evitate di leggere Estense.com. Evitare di fare del male alle persone con crudeltà e discriminazioni. Ci pensano già i crac finanziari, i delinquenti, i cattivi politici.

Anche all’amministrazione vorrei fare una richiesta. Ritirate l’intitolazione di quella strada comunale a Rosa Parks. Ferrara non se la merita. Riponete quella delibera in un cassetto e aspettate, se ci saranno, tempi migliori.

Infine una richiesta a tutti gli altri. Salite su quell’altalena. Dimostrate che tutti hanno il diritto di dondolarvisi sopra. Fatevi scattare una foto quando le corde vi portano verso l’alto, per guardare al di là di queste piccole storie ignobili. E pubblicatela in tutti i posti possibili di questo mondo.

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