Attualità
29 Marzo 2016
Secondo l'Agenzia Casa, la donna non ha garantito i pagamenti anche quando lavorava

Acer replica alla signora sfrattata: “Noi non abbiamo nessuna colpa”

di Redazione | 3 min

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25Aprile. “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”

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La sede Acer

La sede Acer

“La signora non può incolpare né il Comune né Acer perché la sua non è una morosità incolpevole”. Dopo la pubblicazione del racconto-testimonianza di una madre sfrattata il giugno scorso da un alloggio popolare a Barco per morosità, Acer interviene con una nota sulla vicenda. Una nota che parla di un debito maturato anche negli anni in cui la donna ha lavorato.

“Acer non ha cacciato nessuno dall’alloggio popolare con ‘infamia’ – spiega l’Agenzia Casa, in replica alle stesse parole usate dalla signora – come confermano i lunghi tempi di gestione di questa situazione di morosità, il cambio alloggio concesso per ridurre le spese, le numerose dilazioni accordate e poi non rispettate, i numerosi contatti senza esito”.

In effetti la donna aveva ottenuto un cambio di alloggio (il nucleo è stato trasferito da un appartamento a Porotto con impianti centralizzati, e quindi dai canoni piuttosto elevati rispetto alla norma, in uno meno oneroso, con impianto autonomo, a Barco) e le era stato concesso un piano di rientro del debito per pagare gradualmente la morosità accumulata negli anni, a partire dalla precedente abitazione a Porotto.

La signora, una 53enne che ha cresciuto da sola un figlio che all’epoca dello sfratto era minorenne, aveva riferito di non essere riuscita a mantenere i patti solo per un motivo: la mancanza di lavoro. Una affermazione smentita in toto da Acer secondo cui “la morosità maturata in entrambi gli alloggi popolari non può essere definita ‘incolpevole’ (cioè dovuta alla perdita del lavoro), perché anche negli anni in cui la signora ha lavorato e poteva contare su entrate certe, i pagamenti correnti non sono stati garantiti”.

“Evidentemente la signora ha fatto scelte diverse” commentano i responsabili Acer, riferendosi forse al fatto che la donna ha deciso di pagare l’affitto ma non le spese condominiali perché “i soldi non bastavano per tutto”. Una scelta, secondo l’Azienda Casa, “di cui oggi non può incolpare né il Comune né Acer, impegnati a promuovere il principio di legalità nella gestione del patrimonio di edilizia pubblica, e che si sono sempre mossi in maniera puntuale”.

L’ultima contraddizione riguarda “l’attuale soluzione abitativa, sia pure precaria, procurata proprio dai Servizi Sociali del Comune prima dello sfratto” mentre la donna aveva riferito di essere ospite nel convento di santa Rita, in cui divide una stanzetta con suo figlio ora 18enne, solo grazie a un favore di don Domenico Bedin.

Su questo punto la signora è categorica: “Non è stato il servizio sociale che mi ha messo dentro, ma è stata una semplice telefonata che l’assessore Sapigni ha fatto a titolo di cortesia a don Bedin. Non ho fatto il percorso burocratico con il servizio sociale e lo dimostra il fatto che l’Asp non ha mai pagato la mia retta come invece fa con tutte le altre famiglie che sono entrate nel convento seguendo l’iter ‘tradizionale’. Tanto che l’associazione Viale K (che ha in gestione la struttura, ndr) mi ha detto questa mattina che devo lasciare la stanza entro fine giugno. La Sapigni mi ha consigliato di trovare una soluzione abitativa di convivenza con altre persone, ma il servizio sociale non ha fatto proprio niente”.

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