Attualità
29 Marzo 2016
La testimonianza di una madre in difficoltà. "Non chiedo soldi, solo un appartamento decente in cui vivere"

Sfrattata dall’alloggio popolare, non riesce a trovare casa

di Elisa Fornasini | 3 min

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Gli alloggi Acer a Barco

Alcuni alloggi dell’Acer a Barco

Sfrattata dalla casa popolare per morosità, non può riottenere un alloggio Acer a causa del debito maturato, non riesce a ricevere aiuti economici dall’Asp e non riesce a trovare un appartamento da sola tramite agenzie o privati perché non ha un lavoro fisso. Se non vive per strada, è solo grazie a un favore di don Bedin che l’ha ospitata nel convento di santa Rita, dove divide la stanza e il letto con suo figlio 18enne. Dopo quasi un anno, i termini dell’ospitalità stanno per scadere e la disperata ricerca di una casa si fa ancora più impellente.

Questa è la storia della signora M.: ha 53 anni e ha cresciuto da sola suo figlio, che all’epoca dello sfratto era minorenne. “Dal 2010 abitavamo a Barco in un alloggio popolare (di proprietà del Comune e gestito da Acer, ndr) da dove siamo stati cacciati con infamia il 21 giugno 2015 per morosità”. Una morosità accumulata negli anni – a partire dalla precedente abitazione, sempre casa popolare, a Porotto – a causa della perdita del posto fisso della donna, che dal 2006 ha trovato solo lavori saltuari fino alla disoccupazione dal 2013 a marzo 2016.

“Non sapevo dove sbattere la testa perché i soldi non bastavano a pagare l’affitto, le bollette e il debito con Acer – racconta la donna -. Sono passata da un assistente sociale all’altro ma non ho avuto nessun aiuto economico, hanno detto che per noi soldi non ce ne sono. Ho incontrato anche la Sapigni che mi ha concesso delle proroghe ma poi è comunque arrivato lo sfratto perché non sono riuscita a rispettare il piano di rientro concordato con Acer per pagare gradualmente il debito. Se non sono riuscita mantenere i patti è solo per un motivo: la mancanza di lavoro”.

Attualmente lavora come custode di una palestra e vive nel convento di santa Rita, destinato alle famiglie sfrattate e gestito dall’associazione Viale K. Ma la situazione è sempre più precaria. “Sono riuscita a ottenere una stanzetta grazie a un favore di don Bedin e non tramite il servizio sociale, ma si tratta di una stanza di appoggio che devo lasciare al più presto perché mi hanno detto che devono darla a chi ha più bisogno. I servizi sociali mi hanno consigliato di trovare una stanza ammobiliata ma io non posso continuare a dormire nello stesso letto di mio figlio, ormai è diventato un uomo e ha bisogno dei suoi spazi”.

Da qui la ricerca disperata di un appartamento dove prendere la residenza. “Io da sola non riesco a trovare casa tramite agenzie o privati perché nel contratto di affitto chiedono la busta paga e io non ho un lavoro fisso” spiega la donna che, a causa del debito con Acer, non può essere inserita nella graduatoria per dieci anni. “Non ce la faccio con le mie sole forze, vorrei che gli assistenti sociali, che rincontrerò a fine mese, mi dessero una mano a trovare un appartamento: non chiedo soldi ma un appartamento decente dove vivere”.

Il caso era già giunto sulla scrivania del sindaco Tiziano Tagliani tramite un’interpellanza presentata lo scorso aprile dal consigliere comunale Matteo Fornasini (Forza Italia), il quale aveva chiesto “che nell’assegnazione degli alloggi popolari gestiti da Acer si valutino e si tengano maggiormente in considerazione criteri di socialità e di assistenza delle famiglie in vera difficoltà prima di procedere ad atti di sfratto, avviando magari una moratoria sugli sfratti”. Ad oggi, però, non è giunta nessuna risposta. “Non so più a chi rivolgermi – conclude la donna -, a questo punto della vicenda mi piacerebbe parlare direttamente con il sindaco”.

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