Fiscaglia
7 Maggio 2010

Egemonia culturale contro la mafia

di Redazione | 6 min

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Enzo Ciconte (foto Faremor, tratta da Wikipedia)

Massa Fiscaglia. Continuano gli appuntamenti del progetto Mafie e Legalità. Questa sera, venerdì 7 maggio, alle ore 21, il teatro Vittoria di Massa Fiscaglia farà da cornice ad un incontro dal titolo “L’infiltrazione mafiosa in Emilia-Romagna”.

Alla serata interverranno Gianluca Albertazzi, dirigente politiche per la sicurezza e polizia locale, Marcella Zappaterra, presidente Provincia di Ferrara, Alberto Roncarati, presidente della Camera di commercio di Ferrara. Marco Zavagli, direttore Estense.com, modererà l’incontro, di cui sarà protagonista il professore Enzo Ciconte, storico della criminalità organizzata, che Estense.com ha intervistato.

Professor Ciconte, qual è la situazione della criminalità organizzata in Italia?

Occorre evidenziare come sia una criminalità  molteplice, che si sviluppa a sud – dov’è nata e si è consolidata – e al nord, dov’è arrivata circa 30-40 anni fa.

Il suo attuale obiettivo è controllare l’economia. Negli ultimi anni si è assestata evitando di fare l guerre di mafia che conduceva negli anni Novanta, e si è dedicata prevalentemente ad attività economiche, radicandosi in modo forte ed invasivo in tutte le regioni italiane.

Quali sono stati i fattori che hanno contribuito a spostare gli interessi delle mafie nelle regioni settentrionali?

Si può parlare di tre elementi principali. Si tratta innanzitutto di fattori economici: le mafie hanno iniziato a contrabbandare varie merci, come le sigarette, ma soprattutto la droga – in modo particolare eroina e poi cocaina –, che richiedevano un mercato più ampio rispetto a quello del Mezzogiorno. Il nord, più ricco, ha permesso quindi di distribuire tali merci, poiché possedeva il denaro per acquistarle.

Il secondo fattore?

Si tratta del soggiorno obbligato, ovvero di una legge che prevedeva che i mafiosi fossero spostati in zone lontane dal loro paese di origine, in modo da sradicare la loro presenza. Questa idea sarebbe stata eccezionale, se non fosse stata realizzata nel momento del boom economico, quando cioè si sviluppavano tutte le reti di comunicazione – autostrade, ferrovie, aeroporti, telefonia etc – che hanno permesso ai mafiosi di intessere facilmente relazioni, e mettere così radici anche al nord.

L’ultimo elemento che ha permesso l’insediamento della mafia al nord?

 È lo spostamento di manodopera dalle regioni meridionali a quelle settentrionali. Accanto ai tanti cittadini che dal sud emigravano per lavorare, arrivò anche una quota minima, ma importante, di mafiosi. Il problema sta nel fatto che le grandi città come Genova, Milano, Torino, accolsero gli immigrati del sud mettendo in campo politiche edilizie che andarono a ghettizzarli, perché li volevano come lavoratori, ospitandoli però in quartieri di periferia: questi lavoratori immigrati si ritrovarono quindi a vivere insieme ai mafiosi che avevano lasciato nei loro paesi d’origine.

Ci sono state persone al nord che hanno favorito l’integrazione dei mafiosi?

Certo, io li chiamo “uomini-cerniera”. Data l’accumulazione capitalistica mafiosa, ovvero l’accumulazione di ingenti quantitativi di denaro in nero, i mafiosi avevano bisogno di riciclare soldi in città che però non conoscevano: gli uomini-cerniera – ovvero professionisti, banchieri, legali, avvocati, notai etc – si sono prestati e si prestano tuttora a questa azione di collegamento tra il mondo economico pulito con quello economico mafioso.

Tale penetrazione mafiosa nel nord è stata favorita da fattori culturali?

Hanno circolato delle idee sbagliate, che hanno prodotto una sottovalutazione del fenomeno. Innanzitutto si pensava che la mafia fosse solo un fenomeno criminale, e che il mafioso fosse il siciliano con la coppola storta e la lupara. Un’altra questione è che la presenza mafiosa è stata negata, perché parlarne significava deturpare l’immagine del Paese, della regione, della città. Mentre invece la mafia, al pari di una malattia, se si nega e non si cura, peggiora. Il terzo punto lo riassumo con “Pecunia non olet”, ovvero “il denaro non ha odore”. Si pensava cioè che non importasse l’origine dei soldi, nonostante provenissero dalle attività mafiose: anche questa idea ha creato danni enormi.

Si deve parlare di cultura o subcultura mafiosa?

Secondo me è una cultura. Il termine subcultura significa non riconoscere un fenomeno: occorre invece aver presente che si tratta di una cultura, che va sconfitta sul terreno dell’egemonia culturale.  Il modello che però stiamo costruendo in questi anni propone come valori da seguire il successo ad ogni costo, i soldi, la prepotenza, l’arroganza, il denaro come misura in base si giudica la rispettabilità di una persona. Ai giovani occorre offrire un modello di comportamento alternativo.

Come si può  intraprendere questa battaglia per l’egemonia culturale?

Si deve lottare nelle scuole, nelle chiese, nelle categorie professionali, nella vita quotidiana. La prima cosa da fare è sapere con chi abbiamo a che fare. Occorre combattere il convincimento che le mafie siano un fenomeno esclusivamente criminale, da delegare alle forze dell’ordine e alla magistratura. Occorre invece agire su più fronti: nell’economia per evitare che venga inquinata, nelle scuole per evitare che si diffondano modelli di comportamento sbagliati,  nella politica per evitare che intrecci legami con la mafia. Così si risolve il problema, cercando di capire di cosa stiamo parlando: per questo partecipo volentieri alle iniziative pubbliche di analisi e riflessione frequenti anche nella vostra regione. L’Emilia-Romagna ha saputo fare una barriera a una presenza mafiosa che c’è, ma non ha il controllo del territorio: questo grazie ai cittadini, alle associazioni, alle cooperative, alle forze sociali che hanno saputo contrastarla.

Ci sono settori o città più a rischio di radicamento mafioso?    

L’edilizia e il commercio sono i settori più esposti a questo pericolo, non c’è dubbio. Mentre non ci sono città emiliano-romagnole occupate da mafiosi: la loro presenza è a macchia di leopardo. Ci sono comunque presenze significative di ‘ndranghetisti di Cutro a Reggio Emilia, di casalesi di Casal di Principe a Modena, di mafiosi e camorristi a Bologna, di casalesi e ‘ndranghetisti a Rimini, di casalesi e mafiosi a Parma.

Qual è l’organizzazione criminale più forte in Emilia-Romagna?

La ‘Ndrangheta è quella più forte e radicata, perché è da più tempo in regione e perchè si caratterizza per una forte e strutturata presenza familiare.

Il cittadino comune come può riconoscere il mafioso e contrastarne l’attività?

Deve fare attenzione a una serie di anomalie che succedono nel mercato e nella società. Se ci sono ribassi eccessivi nelle compravendite di immobili o negli appalti, allora vuol dire che c’è qualcosa che non va e bisogna capire cosa non funziona. Se ci sono negozi che rimangono aperti pur non avendo clienti, significa che sono lavanderie in cui riciclano denaro. Se ci sono cantieri edili che non hanno il certificato antiracket e non hanno un sindacato, vuol dire che occorre alzare le antenne.

Perciò il singolo – insieme alla collettività – deve fare la propria parte, fare bene il proprio lavoro, e se è il caso, deve denunciare.

Secondo Lei lo Stato sta realizzando interventi utili di contrasto alla mafia?

In parte sì e in parte no. Sì, perché sta catturando alcuni latitanti. Ma non è sufficiente. Lo Stato deve mettere in campo politiche serie di contrasto alla criminalità economica e politica, altrimenti non ne verremo a capo. Nel governo ci sono però presenze inquinanti. Abbiamo avuto per esempio difficoltà recenti a sciogliere il consiglio comunale di Fondi, nonostante il prefetto avesse chiesto tale provvedimento.

Quanto è consapevole l’opinione pubblica della pervasività mafiosa?

Molto di più rispetto agli anni passati. Per esempio all’università di Roma Tre tengo un corso di Storia della criminalità organizzata a cui si sono iscritti 410 ragazzi: questo è il segno che c’è un interesse che prima non c’era. Segnali di mutamento e speranza provengono dalla partecipazione di tanti cittadini e soprattutto di giovani, ad iniziative nelle scuole, nelle università – come quelle che organizza l’associazione Officina di Ferrara a cui sono intervenuto -, come ad eventi pubblici e sociali.

Quando sarà sconfitta la criminalità organizzata?

Magari lo sapessi! Ci vuole tempo, perché gli inquinamenti sono molto profondi. Ne discuteremo questa sera a Massa Fiscaglia.

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