Cronaca
26 Settembre 2015
L'ex membro del pool Manipulite: "Non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi”

Davigo: “Chi vive in Italia ed è ottimista è un cretino”

di Redazione | 3 min

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davigo

di Francesco Altavilla

Contro fenomeni come la corruzione sono utili, e in quale misura, le misure repressive e le inchieste penali, alla luce del fatto che poco dopo tutto sembra tornare allo stato precedente? Con questa domanda si è aperto il frizzante confronto tra Lionello Mancini, giornalista de “Il Sole 24 Ore” e Piercamillo Davigo, giudice della Corte di Cassazione, che ha avuto luogo venerdì 25, nel gazebo installato in piazza Trento e Trieste in occasione di Unifestival.

“Non ho mai detto che serva solo la repressione – ha ribattuto il magistrato, membro nei primi anni Novanta del pool Mani Pulite – ma ritengo sia indispensabile, anche a scopo conoscitivo”. Ciò che non va nella repressione secondo il giudice è che in seguito alle inchieste della stagione di Tangentopoli, è che si è “migliorata la specie cacciata” dai magistrati, complice anche “una repressione interrotta a metà trattamento”. Mancini rincara la dose, a proposito di Tangentopoli: “un momento che avrebbe potuto essere di svolta, ma che non ha cambiato nulla”, e Davigo, coglie lo spunto tracciando amaramente un bilancio del risultato della maxi inchiesta che parve scuotere un intero sistema: “abbiamo squarciato il velo dell’ipocrisia, non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi”.

Una stagione che però, a giudizio del membro della Corte di Cassazione, non ha cambiato molto, a partire “dalla mancanza di una regolamentazione giuridica dei bilanci dei partiti politici, l’assoluta assenza di meccanismi di trasparenza, uniti ad un sistema sanzionatorio ridicolo”. Scettico anche sulla nuova normativa riguardante il finanziamento pubblico dei partiti, il magistrato si è detto critico anche nei confronti della legge Severino “sedicente anticorruzione, che avrebbe dovuto almeno unificare le fattispecie di reato, oltre a perfezionare gli strumenti investigativi”.

La corruzione, è tutt’ora, secondo Davigo, “seriale e diffusiva”, per questa ragione, “la repressione è di per sé prevenzione”. Le normative sulla trasparenza e la conseguente montagna di dati pubblicati dagli enti pubblici, rendono difficile cogliere eventuali irregolarità, e non convincono il magistrato circa la loro efficacia: “servono indici di misurazione – ha precisato – come quello che valuta il tasso di corruzione prendendo in considerazione i costi delle opere pubbliche”.

Un quadro, per nulla positivo quello tracciato dal magistrato, che ha giustificato con una battuta il suo atteggiamento davanti alla platea ed a Lionello Mancini, che lo invitava ad un maggiore ottimismo: “uno che vive in questo paese ed è ottimista è un cretino”. Una battuta che fa sorridere, ma che invita ad una riflessione profonda.

Il problema della corruzione c’è, e pare non essere risolvibile in breve tempo, alla luce di due fatti sostanziali: “mancano sia le regole che la cultura” per contrastare quelli che secondo il magistrato sono “veri e propri sistemi criminali” inseriti in un più grande sistema che è “criminogeno”. In primo luogo per la morbidezza delle sanzioni. Sistemi contro cui la magistratura può sempre meno, sostiene uno degli artefici di Mani Pulite, già dal 1994 “il decreto Biondi ha depotenziato l’agire della magistratura”.

La soluzione “culturale”, può essere, a parere di Davigo, l’unica possibile, che non produrrà effetti immediati, ma che deve partire dall’educazione: “bisogna insegnare che conviene comportarsi bene e non conviene comportarsi male”.

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