Recensioni
12 Settembre 2015
Il nuovo film del regista presentato alla Mostra del Cinema

‘Remember’ di Egoyan in concorso a Venezia 72

di Redazione | 3 min

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egoyanUn ‘non dimenticare di ricordare’ doloroso, estremo, metaforico, estremamente metaforico. E’ ‘Remember’, il nuovo film di Atom Egoyan, regista nato al Cairo nel 1960 da genitori armeni, ma poi naturalizzato canadese dall’età di tre anni, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.

Idealmente è stato definito una prosecuzione di Ararat, sua pellicola del 2002, ma, giocato – ha affermato lo stesso regista in conferenza-stampa – su di un piano solo, a differenza dell’ultimo.

‘Remember’ è un film bellissimo, sorprendente, un thriller, per certi aspetti, boulevérsant, come direbbero i Francesi per molti altri: potrebbe forse essere il Leone, chissà… Si può leggere duplicemente, prestandosi ad almeno due chiavi di lettura: la prima, semplificante, che non permette di concepire come una persona anziana, in odore di incipiente Alzheimer, possa portare ‘ a termine’ quanto prefisso e concordato con altra persona, sua coetanea e, apparentemente, correligionaria.

Ma la si abbandona subito: il film si offre a ben altre considerazioni più complesse. Per dare ad esso un significante, ma, soprattutto, un significato, dobbiamo scomodare Freud ed recessi più inconsci della nostra insondabile mente. Inizialmente ‘sembra’ la ‘solita’ tematica vendico-ebraica: due sopravvissuti alla Shoah, ad Auschwitz, molto anziani ormai, residenti in un ospizio di lusso che (pare) rispettare il loro vissuto personale facendoli vivere in un ambiente ricreato, in parte, con il mobilio di casa, decidono di vendicarsi di chi ha distrutto le loro famiglie nel campo di concentramento.

Uno, il più malato (Martin Landau, magnifico attore per Hitchcock e W. Allen, tra i tanti ruoli interpretati, mai da protagonista, ma, comunque da Oscar), predispone, letteralmente, per l’altro ancora autonomo, ma che ha subìto un lutto recente – la morte della moglie e soffre di altalenante Alzheimer – un viaggio della vendetta in pieno stile, sulle orme dei passi di Simone Wiesenthal e della sua crociata antinazista post-bellica (un Christopher Plummer incredibilmente vero, nella sua realistica naturalezza, lui grande attore anche teatrale, shakespeariano).

Splendido l’andamento del plot, straniante, ribaltante per vari aspetti, come si diceva. Curioso ed essenziale il ruolo che alcuni bimbi svolgono nella vicenda: son sempre strumento di riconoscimento, di bontà innocente allo stato puro, di consapevolezza del ben operare, salvaguardando la vita.

Si potrebbe dire che i Bambini sono la Memoria del Mondo, della Storia, per lui che vive nel passato che è un continuo presente, hic et nunc. Ma, per dirla ebraicamente, il Passato ci sta davanti ed è proprio così. Inseguendo sempre quello, il protagonista arriverà ad una doppia verità, terribile, insopportabile: ciò che il suo cervello ha rimosso, negli anni, gli apparirà davanti in tutta la sua crudeltà.

Certo uno, nessuno, centomila – ma anche Pirandello è ‘figlio’ di Freud – e lui, per difendere se stesso, dopo averlo fatto col subconscio, lo farà con una pistola, difenderà il suo esser stato oggetto di manipolazione a sua volta dell’Ebreo che l’ha telecomandato, totalmente: prenderà coscienza, infine, tornando completamente lucido e pagando la ‘banalità del suo male’, il suo pedissequo esser prima nazista, poi difensore (negato) degli Ebrei, annichilendosi, con il suicidio.

Film da vedere e rivedere, da metabolizzare perché la sua ‘soluzione finale’ è un rovesciamento inusitato eppure, forse, ovvio, banale: come potrebbe dire Hannah Arendt…

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