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26 Giugno 2015
Il pubblico può finalmente ammirare nella sua completa bellezza la più vasta impresa decorativa dell’intero Gotico internazionale

Il restauro della Cappella di Teodolinda nel Duomo di Monza

di Redazione | 5 min

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di Maria Paola Forlani

Una tipologia della produzione pittorica quattrocentesca definibile “lineare” può comprendere parecchie famiglie morfologiche: in linea di massima, tutte le conformazioni in cui prevale la presenza della linea su quelle del piano e del volume.

Cronologicamente un primo tipo di pittura lineare va ricercato nella produzione del “Gotico internazionale” o della “civiltà cortese”, che si sviluppò fra la fine del XIV e gli inizi del XV. Tale produzione, i cui centri furono le varie corti europee e nord-italiane, caratterizzata prevalentemente in senso laico e mondano e da una tematica basata sulle leggende cavalleresche medievali, comprende l’opera di numerosi artisti: dall’attività avignonese di Simone Martini a quella del gruppo di Milano (Giovanni de’ Grassi, Michelino da Besozzo, gli Zavattari, i Bembo), i cui lavori furono definiti in Francia Ouvrage de Lombardie, dalle scuole locali (Stefano da Verona) agli artisti operanti presso vari centri italiani (Gentile da Fabriano), Iacobello del Fiore, Pisanello).

Quanto alla pittura vera e propria – tranne qualche eccezione, viene accantonato l’uso del fondo oro uniforme (o lo si amalgama nella composizione pittorica), per indicare con analitica grazia tanto le linee delle immagini in primo piano, quanto quelle che configurano gli sfondi. Negli affreschi degli Zavattari per il Duomo di Monza, rappresentanti le Storie della regina Teodolinda, le lineari sagome delle figure e delle architetture si stagliano sì contro un fondo oro, ma questo è trattato come un filigranato arazzo.

La Cappella della Regina Teodolinda si apre nel braccio settentrionale del transetto del Duomo di Monza. Di snelle forme gotiche, fu eretta negli anni a cavallo del 1400, durante l’ultima fase dei lavori di ricostruzione della basilica avviati nel 1300.

La sua decorazione pittorica, risalente alla metà del XV secolo e dedicata alle Storie di Teodolinda, distribuite in 45 scene, si presenta come un sentito omaggio alla sovrana longobarda che aveva fondato la chiesa e nello stesso tempo come una testimonianza del delicato passaggio dinastico che si stava allora profilando nel ducato di Milano tra la famiglia dei Visconti e quella degli Sforza, cui rimandano i simboli araldici dipinti nelle incorniciature e le allusioni metaforiche al matrimonio tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza presenti nelle immagini.

Il ciclo di affreschi della cappella è considerato uno dei capolavori della pittura del gotico internazionale in Italia, nonché il più importante esito dell’attività degli Zavattari: una famiglia di pittori milanesi attivi in Lombardia per tutto il Quattrocento, che ci viene presentata dai documenti come una vera e propria dinastia di artisti, composta dal capostipite Cristoforo, responsabile tra il 1404 e il 1409 di alcuni lavori del Duomo a Milano, da suo figlio Franceschino, anch’egli operoso nel Duomo di Milano dal 1417 al 1453, e dai tre figli di quest’ultimo, Giovanni, Gregorio e Ambrogio, con i quali Franceschino lavorò probabilmente a Monza e, solo con gli ultimi due, alla Certosa di Pavia. La serie è conclusa da Franceschino II, figlio di Giovanni e fratello di Vincenzo, Gian Giacomo e Guidone.

La cappella fu dipinta in due riprese tra il 1441-44 e, con ogni probabilità, da quattro diverse “mani”, che alcuni studiosi propongono di identificare con altrettanti membri della famiglia Zavattari. Sulla base di un’attenta analisi stilistica, essi ritengono infatti che la concezione generale del progetto del ciclo vadano riferite a Franceschino Zavattari, cui si devono anche l’esecuzione delle prime 12 scene; il cosiddetto “secondo maestro di Monza”, forse identificato con Giovanni, avrebbe invece condotto quelle dalla 13 alla 41, mentre il “quarto maestro di Monza”, forse Ambrogio, sarebbe l’autore delle quattro finali.

Le 45 scene narrano la storia della Regina Teodolinda a partire dai resoconti storici di Paolo Diacono (VIII sec.), autore del Chronicon Modoetiense. Sviluppata su una superficie di circa 500 mq ed organizzata da sinistra verso destra, e dall’alto in basso, ed è così suddivisa: le scene dalla 1 alla 23 descrivono i preliminari e le nozze tra Teodolinda, principessa di Baviera, e Autari, re dei Longobardi, concludendosi con la morte del re; dalla scena 24 alla 30 sono raffigurati i preliminari e le nozze tra la Regina e il secondo marito Agilulfo; dalla 31 alla 41 sono raffigurate la fondazione e le vicende iniziali della Basilica di Monza, seguite dalla morte di re Agilulfo e della Regina; dalla scena 41 alla 45 è infine illustrato lo sfortunato tentativo di riconquistare l’Italia da parte dell’imperatore d’Oriente Costante e del suo mesto rientro a Bisanzio. Nello svolgersi delle scene, il ritmo del racconto si fa più lento o più serrato a seconda dell’importanza dei momenti narrati.

Molte sono le scene che riguardano la vita di corte – balli, feste, banchetti, battute di caccia – ma anche i viaggi e le battaglie, e numerosi particolari sulla moda e i costumi dell’epoca presentati dai protagonisti: abiti, acconciature, armi e armature, suppellettili, atteggiamenti e attitudini. Tutto ciò fornisce uno dei più ricchi e straordinari spaccati della condizione e della vita di corte della Milano del XV secolo, l’ambiente forse più europeo nell’Italia dell’epoca. Il complesso procedimento utilizzato dagli autori – nel quale convivono materiali e tecniche diverse come l’affresco, la tempera a secco, la pastiglia a rilievo, le dorature e le argentature in foglia – mostra la straordinaria versatilità operativa della bottega e risponde perfettamente al clima sfarzoso che dominava nelle corti e presso l’aristocrazia dell’epoca. Nell’altare della Cappella, realizzato nel 1895 – 96 in stile neo-gotico su progetto di Luca Beltrami, è custodita la Corona Ferrea, la più celebre e sacra tra le oreficerie del Tesoro del Duomo di Monza.

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