Eventi e cultura
23 Novembre 2014
Pontiggia a Ferrara parla de “Lo stadio di Nemea”

Il poeta, quell’umile staffettista

di Redazione | 3 min

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pontiggiadi Anja Rossi

La poesia è o non è una sfida tra antico e“Lo stadio di Nemea” moderno? Questo è il tema analizzato nella seconda domenica dedicata alla poesia per il ventennale di Feltrinelli a Ferrara. Ospite del giorno è stato il poeta, traduttore e critico letterario Giancarlo Pontiggia, giunto a Ferrara per presentare il suo ultimo libro e per dialogare sulla poesia contemporanea con Roberto Dall’Olio.

Libro dal titolo inusuale, “Lo stadio di Nemea” vuole arrivare già dalla copertina ad avere una valenza per lo più simbolica. Si tratta di saggi e di interventi commissionati all’autore tra il 2004 e il 2013, dove i temi erano scelti da altri e non dal poeta stesso. “Spesso gli scrittori sono molto egocentrici – afferma Pontiggia -, perché parlano solo di cose loro. In tutti questi casi avevo invece un tema dato da trattare e analizzare, perciò sono stato chiamato a una bella sfida. Ho cercato di portare la poesia all’interno di temi come quello sulla responsabilità della parola, tema che prima personalmente non avevo mai trattato”.

“Lo stadio di Nemea – spiega Dall’Olio presentando l’autore – non è proprio un libro di critica, è più un insieme di discorsi sulla poesia, una poesia tra tradizione e modernità”. Nemea era la città greca del Peloponneso in cui si trovava uno stadio e al cui interno si svolgevano i giochi olimpici. “I giochi erano qualcosa di molto elementare e al contempo molto bello: una dimensione che si è andata perdendo nei nostri tempi”, analizza l’autore. “Con questo libro ho voluto dare un senso tra tradizione e innovazione, tra passato e modernità”.

Il poeta riprende in analisi il periodo degli anni ’70, in cui era studente a Milano, e i rapporti con i colleghi che si scagliavano contro la volontà di Pontiggia di studiare i classici e riprenderli nel suo lavoro. “Mi dicevano che non potevo prendere la Divina Commedia per scrivere nuove poesie, perché essa non era spendibile: chi poteva scrivere temi così alti? Mi sembrava un discorso molto americano, utilitaristico. In realtà, riflettendoci, questo collega mi aveva dato una nozione di classicità come di qualcosa di inarrivabile. Per me ogni scrittura contemporanea deve fare i conti con i classici: non è un caso che la cultura provocatoria degli anni ’70 è diventata vecchia senza diventare antica”.

La soluzione per Giancarlo Pontiggia è ritrovare nel poeta, anche quello contemporaneo, quell’umile staffettista che durante la corsa mantenga accesa la fiaccola fino al traguardo, come avveniva nello stadio di Nemea. Il poeta deve tentare dunque una “poesia felice – intesa come aumento della vitalità – non tanto nei contenuti, ma negli effetti. Una poesia felice, per andare oltre l’oscurità delle parole”.

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