Comacchio
15 Novembre 2014
Prosegue la messa in luce della grande imbarcazione rinvenuta. Ieri il rinvenimento di un’anfora

Scavi no-stop nel sito archeologico di Santa Maria in Padovetere

di Redazione | 4 min

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Comacchio. “Un pezzo di storia del territorio che si scrive qui davanti ai nostri occhi”. Usa un’espressione evocativa il soprintendente per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, Marco Edoardo Minoja, per descrivere il rinvenimento della grande imbarcazione di epoca tardoantica nel sito archeologico della pieve di Santa Maria in Padovetere, a pochi chilometri dall’abitato comacchiese. Ieri mattina si è svolta una prima visita guidata al cantiere a cui hanno partecipato anche due classi degli istituti comprensivi di Comacchio e Porto Garibaldi.

È un lavoro no-stop quello che l’equipe di giovani archeologi e volontari stanno svolgendo, anche nei giorni di pioggia, nell’area del rinvenimento dell’imbarcazione. Dopo la visita, lo scorso 19 ottobre, del ministro Franceschini, i lavori sono proseguiti senza intoppi e ieri la grande barca a fondo piatto (15 metri di lunghezza) è stata quasi completamente portata in luce. Oltre all’imbarcazione principale, è stata rinvenuta una piroga monossile, ovvero ricavata in un tronco di un solo albero, molto simile all’esemplare già conservata al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara. Le due imbarcazioni fluviali si trovano a pochi passi dai resti dall’antica pieve nel luogo in cui in età romana e tardoantica scorreva l’antico ramo del Po, il Padovetere, che dall’idronimo risulta già in fase di spegnimento durante i primi secoli altomedievali. Le imbarcazioni sono appoggiate su di un fianco poiché, ormai vecchie ed inutilizzabili per la navigazione, furono affondate volontariamente e utilizzate come rinforzo per la sponda del fiume.

Nell’area di scavo sono venuti alla luce anche numerosissimi frammenti ceramici, ossa animali e umane (provenienti dal vicino cimitero altomedievale) e anche altri oggetti di uso quotidiano. Proprio durante la visita di questa mattina, mentre gli archeologi erano al lavoro, è stata rinvenuta la porzione superiore di un’anfora. La stratigrafia mostra con grande chiarezza l’evoluzione morfologica del sito: è ben visibile uno strato di terra nera dovuta all’autocombustione del canneto dell’antico fiume, sopra di esso uno strato giallino che dimostra che quel terreno è stato coltivato e, infine, uno strato più superficiale con numerose conchiglie risalente all’età moderna quando la zona si è impaludata. Un ulteriore dettaglio, che contribuisce a rendere unica questa scoperta, è il fatto che le assi dell’imbarcazione sono ‘cucite’ con corde vegetali perfettamente conservate e visibili.

“Questo è un rinvenimento di rilevanza nazionale, se non addirittura internazionale. – chiarisce il soprintendente per i beni archeologici dell’Emilia Romagna Marco Edoardo Minoja- Stiamo studiando un progetto per valorizzare questo sito attraverso la partecipazione attiva della cittadinanza. Questa sarà la prima di tante visite guidate al cantiere, con cadenza settimanale, che intendiamo fare da oggi per tutta la durata degli scavi per poi arrivare alla completa apertura del sito di Santa Maria in Padovetere in accordo con il Comune e l’Arcidiocesi. Voi – spiega Minoja rivolgendosi alle scolaresche- siete e sarete parte attiva del progetto di valorizzazione, perché la storia può vivere solo attraverso il tramandarsi di generazione in generazione le conoscenze. L’essere cittadino consapevole oggi vuol dire avere una solida base di conoscenze sul passato della propria città e del proprio territorio”.

Grande entusiasmo anche per il primo cittadino di Marco Fabbri che assicura tutto l’appoggio necessario alle operazioni di scavo. “Il Comune di Comacchio metterà a disposizione ulteriori fondi per sostenere il progetto, oltre a quelli europei. È una grande scoperta che ci da l’idea dello straordinario passato del nostro territorio. Contiamo di aprire quanto prima l’area. Nei giorni scorsi abbiamo realizzato il vialetto d’accesso al sito e uno stand provvisorio per consentire agli archeologi di poter lavorare anche con il maltempo”.

“L’unicità del ritrovamento- interviene il soprintendente Mario Cesarano, responsabile scientifico del cantiere di scavo- si spiega con i pochissimi esemplari di imbarcazioni fluviali giuntici fino a noi in uno stato così buono. Ora si proseguirà con lo scavo delle ultime parti ancora sommerse della nave e poi il relitto resterà in loco almeno fino alla conclusione di tutte le operazioni di rilievo complessivo dell’area. Successivamente si troverà una collocazione adeguata per rendere visibile al pubblico l’imbarcazione. Il mio auspicio è che la collocazione espositiva dell’imbarcazione sia proprio qui, nel sito di Santa Maria, perché osservare un oggetto nel luogo in cui è venuto alla luce è scientificamente molto più corretto per la presenza del contesto”. La squadra di archeologi e volontari che in questi giorni sta lavorando nel sito è composta da: Lorenzo Zamboni (responsabile operativo del cantiere), Elisa Costa (Università di Venezia), Guido Muratori (Università di Milano), Carla Buoi (Università di Milano), Edoardo Pasotto, Umberto Crupi (Università di Londra), Cristina Falina (Università di Ferrara), Chiara Salandin (Università di Bologna), Giuliano Manzoli (volontario, Gruppo Archeologico Ferrarese), Giorgia Sardelli (Università di Ferrara), Ermanno Molinari (volontario, Gruppo archeologico Ferrarese), Laura Giorgia, Marco Bruni (Università di Ferrara), Paolo Zangirolami (restauratrice) e Marco Tomasi (geometra e archeologo volontario).

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