Cronaca
31 Luglio 2014
Testimonianza da una delle tante "anticamere della morte"

La fabbrica dei morenti

di Marco Zavagli | 5 min

Leggi anche

Corteo del 25 aprile. La Resistenza vive

Oltre duecento persone al corteo organizzato dal centro sociale La Resistenza. Dal parco Coletta a piazza Castello studenti e lavoratori di ogni età hanno intonato insieme “Bella Ciao” e altri canti antifascisti.

25Aprile. “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”

“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che auguro a voi di non sentire mai”. 

È con le parole di Piero Calamandrei – tra i padri fondatori della Costituzione – che il sindaco Alan Fabbri apre il suo intervento durante la celebrazione del 25 aprile, dopo l’alzabandiera e il picchetto d’onore. 

unnamed“Tutto in questo reparto è predisposto come una anticamera della morte”. È l’inizio di una lettera che ci invia una lettrice, P. Il padre è morto qualche giorno fa in una clinica. Lei lo ha visto spegnersi senza avere il tempo di portarlo a casa con sé. “Non ci sono riuscita. Mi sembra di essere nel peggiore degli incubi, scrivo questi pensieri proprio ora ben sapendo che in pochi leggeranno perché ovviamente tutto ciò che descrivo è triste”.

P. scrive mentre sta assistendo il genitore, in “una stanza 5 metri per 6 circa. Ci sono 2 letti dove lo spazio tra l’uno e l’altro non supera i 70 cm. Non esistono poltrone comode per far sedere gli ammalati durante il giorno e neppure da poter utilizzare per far accomodare un parente di notte. Io sono seduta su una sedia da cucina. Non esistono i comodini per far mangiare a letto e il cibo viene distribuito direttamente da operatori con un mestolo e quasi mai vengono aiutati coloro che non hanno appetito o che non sono in grado di farlo da soli”.

Davanti a lei c’è il letto numero 56. Lì sopra sta morendo suo padre. “In questo momento a mio padre l’ossigeno è erogato, senza gorgogliatore, da una bombola da 3000 litri, di quelle che si usano a domicilio. L’angusto bagno della camera non ha neppure la luce, senza carta igienica e sapone e lo scarico della doccia è chiuso con il nastro adesivo. Solo una persona è ammessa al capezzale cosicché se mia sorella fosse ancora viva, solo una di noi potrebbe rimanere qui e siccome è notte e i cancelli sono chiusi non è possibile turnarsi, chi è dentro è dentro, chi è fuori sta fuori. Non mi è possibile fumare una sigaretta che però ho fumato, aprendo una finestra e sputando fuori il fumo, nonostante i divieti e rimproveri del personale impaurito per il fatto che avrei fatto scattare l’allarme antincendio. Problemi vostri, rispondo calma e magicamente mi viene indicata la scala antincendio dopo due ore di suppliche”.

P. scrive che “per allontanarmi da questo strazio di essere qui da sola con fuori il rumore delle cicale e qui il rantolo che non finisce ancora. Non c’è stata dignità in questa morte, non solo per mio padre ma anche per me, nessun rispetto per il dolore, totale e glaciale indifferenza. Penso che il personale sia addestrato a mantenere il distacco in questa fabbrica di morenti”. Non ci sono regole infrante in quello che P. vede. Tutto rientra nei limiti della legge. Ospitiamo al sua storia perché crediamo che una riflessione su quello che è permesso e sotto gli occhi – e le lacrime – di tanti possa aiutare a migliorare quelle che la lettrice descrive come “anticamere della morte”. Spesso la legge non è in grado di infiltrarsi negli angusti spazi della dignità umana. Gli uomini possono. E forse la triste esperienza di P. può allargare uno di questi spazi.

Anche se non è facile, perché “ci sono delle procedure a catena in questa fabbrica di persone in transito. Sono passate due ore, erano poco più delle undici quando ho iniziato a scrivere. Mio padre è libero, appena volato via. Io lo guardo con infinito dolore, lui piegato su un fianco con quel camicione azzurro da sala operatoria, rannicchiato come un gatto ammalato. Le cicale hanno smesso di cantare ora, che sono passate da poco le due, dopo aver pianto tutto il giorno di questa calda giornata di metà luglio. Cammino lungo il corridoio per avvisare il personale che mio padre non c’è più”.

Il camicione azzurro. “Già. Capisco al mattino, alle pompe funebri. A pranzo in visita indossava appunto quella vestaglia. Io chiedo informazioni, dicono che nel suo armadio non c’era biancheria pulita. Io mostro il sacchetto. Ho saputo che in questa struttura le salme vengono trasferite nude nelle celle frigorifere e che in altre case di riposo invece vengono spogliate e quel camicione azzurro messo a decesso avvenuto mentre nell’ospedale i cadaveri arrivano in obitorio con la biancheria che indossavano al momento della morte. Quale fatica sarebbe stata sollevare un cadavere in uno spazio angusto con il rigor mortis? Di notte? Molto più comodo slacciare e sfilare camicione e pannolone e trasferire ciò che era mio padre, un carico in transito in questa catena di montaggio dove vige il principio del minimo sforzo per ottenere il risultato ma a svantaggio di un essere ancora vivente e dolorante e totalmente deprivato della sua individualità come già morto quando ancora vivo come gli uomini morti che camminano nei bracci della morte”.

È la stessa P. a confermare che “non posso dire di aver visto regole violate, posso dire che la dignità di mio padre e la mia sono state offese ma poiché non esiste quel diritto, nessun illecito è stato commesso, nullum crimen sine lege. Ho visto, nella mia esperienza, diversi gradi di rispetto della dignità. Io il giorno che trasferirono mio padre qui chiesi espressamente al medico di reparto se le sue condizioni erano terminali perchè avrei voluto farlo morire nella sua casa con gli odori, la luce ed il conforto mio vicino a lui, nel luogo dove ha trascorso tutta la sua vita. Verrà disposto un ricovero assistito nel reparto di lungodegenza in una della strutture convenzionate mi dice il medico. Io non sono stupida ed eccepisco che lì si va morire. Mi oppongo ma, detto fatto, nel pomeriggio viene trasferito dall’hotel a cinque stelle di Cona Airport , sotto il sole cocente di luglio, nella pensione ad una stella che è questa clinica, primo piano lungo degenza, nel seminterrato le celle frigorifere, nella decorosa hall la diagnostica (la bella facciata perchè è lì che vengono investiti i soldi della fabbrica), secondo piano la medicine e terzo la chirurgia. Come nel racconto, o quasi, di Dino Buzzati, “I sette piani”.

In questo settimo piano “capisco il perché l’infermiera si è sorpresa quando io volevo rimanere qui stanotte ad accompagnare mio padre di là. Tutto ciò che non è espressamente vietato è permesso. Ma questa è un’altra storia. Ciao Papà”.

Grazie per aver letto questo articolo...
Da 18 anni Estense.com offre una informazione indipendente ai suoi lettori e non ha mai accettato fondi pubblici per non pesare nemmeno un centesimo sulle spalle della collettività. Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati non sempre è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge e, speriamo, ci apprezza di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di ferraresi che ci leggono ogni giorno, può diventare fondamentale.

 

OPPURE se preferisci non usare PayPal ma un normale bonifico bancario (anche periodico) puoi intestarlo a:

Scoop Media Edit
IBAN: IT06D0538713004000000035119 (Banca BPER)
Causale: Donazione per Estense.com