Economia e Lavoro
25 Luglio 2014
Lavoratori pronti alla mobilitazione a Roma. Atti: "Un sito di queste dimensioni non può sopravvivere senza cracking"

Allarme petrolchimico, Gigli: “Mai più accordi con Eni”

di Ruggero Veronese | 4 min

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Da sx: Stefano Mantovani, Mauro Cavazzini, Michele Mazzolienis, Sergio Gigli

Non è difficile scorgere la tensione dei dipendenti del petrolchimico, mentre all’interno della mensa del petrolchimico si tiene l’assemblea sindacale. Le scelte del nuovo gruppo dirigente di Eni hanno riportato all’interno dello stabilimento la stessa paura e incertezza per il futuro che si respirava un anno fa, durante la vertenza Basell chiusa con 41 esuberi dal centro ricerche Giulio Natta. Con una sola, macroscopica, differenza: questa volta lavoratori e sindacati non si scontrano con le scelte – contestabili ma pur sempre economicamente comprensibili – di una multinazionale con sede a Houston, a migliaia di chilometri di distanza. Ma con quelle di un colosso industriale nazionale e con importanti quote pubbliche, che rischiano di far precipitare verso un punto di non ritorno l’intero comparto chimico italiano. A partire dalle aziende dello stesso gruppo Eni fino agli investimenti e all’indotto delle società estere insediate nei petrolchimici.

Durante l’assemblea si alternano gli interventi di lavoratori e sindacalisti, tra i quali spicca il segretario nazionale della Cisl-Femca, Sergio Gigli. Sarà lui, insieme ai rappresentanti di Cgil – Filctem e Uil – Uiltec, a incontrare la dirigenza di Eni al tavolo convocato il 30 luglio nella sede del ministero dello sviluppo economico. Un incontro che si preannuncia decisivo per chiarire qual’è il piano industriale del gruppo e per chiedere al governo di far rispettare gli accordi presi con i sindacati. Gigli infatti è categorico riguardo al ruolo di garanzia che Renzi dovrà giocare nella vertenza: “Non faremo più alcun accordo con Eni oltre a quelli già in vigore, se non davanti al presidente del Consiglio. Ora per l’azienda c’è un grosso problema di credibilità”.

unnamed (5)La delusione di sindacati e lavoratori deriva dalla mancata riattivazione dell’impianto di cracking di Porto Marghera, che attraverso pipelines sotterranei rifornisce i petrolchimici del nord Italia delle materie prime necessarie alle produzioni. E mentre si accavallano le incertezze sugli approvvigionamenti futuri, negli ultimi giorni si sono cominciate ad avvertire i primi segnali della carenza di materiale, che hanno spinto la dirigenza Versalis (società appartenente al gruppo Eni) a fermare l’impianto 10°, per permettere il rifornimento a Basell e alle altre società legate a Eni da contratti di fornitura.

Ma anche le multinazionali insediate, secondo i sindacati, hanno validi motivi per preoccuparsi di fronte al cambio di rotta di Eni. Perchè la fornitura di monomeri di base, in assenza di un impianto di cracking collegato direttamente, sono ora effettuati via nave dagli stabilimenti del sud Italia. Una soluzione che, visti gli elevati costi di gestione, sarebbe dovuta essere solo provvisoria. “Un sito di queste dimensioni – afferma perentorio il segretario provinciale della Cgil, Raffaele Atti – non può sopravvivere senza cracking. Un contesto in cui non vi è la certezza dell’approvvigionamento è un disincentivo per tutte le aziende a mantenere i propri investimenti sul territorio”. La mobilitazione dovrà quindi percorrere tutte le strade disponibili: oltre agli scioperi programmati e alla manifestazione a Roma, i sindacati incontreranno anche i parlamentari eletti a Ferrara, perchè si facciano portavoce dei problemi del territorio. “Abbiamo bisogno – conclude Atti – di far crescere l’attenzione in tempi rapidissimi”.

E la necessità di trovare una larga partecipazione nell’opinione pubblica si spiega facilmente: nessuno dei partecipanti all’assemblea nega la contraddizione di dover cercare un garante nello stesso soggetto, il governo Renzi, alla base della nomina del nuovo gruppo dirigente Eni. Con il premier stesso che solo cinque giorni fa brindava assieme al presidente del Mozambico, Armando Guebuza, dopo aver annunciato un investimento da 50 miliardi di euro da parte di Eni per l’estrazione di gas nella nazione africana. “Dobbiamo chiedere un intervento al governo perchè Eni presenti un piano industriale credibile – attaccano i rappresentanti sindacali dalla platea -, ma non dimentichiamo che Descalzi è stato messo lì da Renzi. Il rischio è quello di vedere anche Eni dividersi in due, con una ‘bad company’ che comprende Versalis e le altre aziende chimiche e una ‘virtuosa’ proprietaria delle attività che generano più profitti”. Profitti che tuttavia – è il timore nel petrolchimico – avranno più a che fare con l’azionariato di Eni che con i lavoratori italiani.

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