Dalle tangenti dell’ex funzionario Acer all’omessa denuncia dell’ex presidente Ivan Ricci alle ipotetiche consulenze imbastite per foraggiare il Partito democratico. C’è di tutto e il contrario di tutto nelle sequele dell’inchiesta che ha visto condannare in patteggiamento a 3 anni e 2 mesi Ruggero Sinigaglia per concussione.
È un articolo della “Nuova Ferrara” a scatenare una raffica di dichiarazioni di avvocati e di politici. Il quotidiano locale riporta uno stralcio di un interrogatorio, entrato nel fascicolo del pubblico ministero, nel quale Sinigaglia afferma davanti agli inquirenti di aver saputo da Filippo Dianti, l’imprenditore che con le sue accuse fece scoppiare lo scandalo, che “tra il 2007 e il 2010 – riporta il giornalista -, Acer affidava consulenze esterne a studi tecnici per redigere progetti per opere pubbliche” e “che una parte dei soldi delle consulenze venivano consegnati a Ivan Ricci, ex presidente Acer, e poi girati al suo partito (il Pd)”.
Si tratterebbe, secondo la “Nuova”, degli elementi sulla base dei quali la procura starebbe portando avanti l’inchiesta “Acer bis”, che vede Ricci indagato – nel luglio scorso – per omessa denuncia dei fatti interni all’azienda di cui sarebbe stato a conoscenza. Nell’interrogatorio di luglio reso da Sinigaglia, l’ex presidente afferma di aver saputo da Dianti di tangenti incassate e girate da Ricci al Pd. Va detto però che la procura non contesta a Ricci nulla di quanto emerso da quell’interrogatorio. Il diretto interessato smentisce parlando di “accuse inconsistenti e inventate”. “Trasecolo – scrive -. Provo amarezza. Mi vien quasi da sorridere. Proprio io che sono stato spesso criticato in passato per non aver mai voluto versare nulla al partito di quanto guadagnavo per le mie attività lavorative. Non un euro ho mai preso da quelle consulenze “sospette” per il semplice fatto che erano tutt’altro che fittizie”.
“Se ci fossero elementi a nostro carico – rincara la dose l’avvocato Fabio Anselmo, che assiste Ricci – da giugno ad oggi avremmo saputo qualcosa. E invece non ci risulta aperto nessun fascicolo”.
Ovviamente quella frase che parla di soldi versati al partito esiste. È agli atti. Anche se vuoi chi l’ha pronunciata, Sinigaglia, vuoi chi viene chiamato in causa quanto a paternità di quelle informazioni, Dianti, smentiscono tramite legali. “Il mio assistito – sostiene l’avvocato Alberto Bova – mi ha riferito di non aver mai detto nulla del genere a Sinigaglia. Si sostiene che avrebbe appreso quelle informazioni nel corso dei lavori di pulizia della sua impresa nella sede del comando della Guardia di Finanza, ma lui non ha mai lavorato lì. Se quanto scritto sia vero o non vero non lo so, ma se le ha dette Sinigaglia, non le ha sapute sicuramente da Dianti”.
Stesso discorso per l’imprenditore, il cui difensore, l’avvocato Gianni Morrone del foro di Padova, ricorda che “nell’unico interrogatorio, reso a luglio, Sinigaglia ripete il ritornello, quasi un tormentone, del “Dianti mi disse che”. Sono quindi tutte cose che ha saputo de relato e di cui non era a conoscenza diretta. Se siano vere o false lo chiederanno a Dianti”.
A questo punto per chiarire chi dice il falso si dovrà attendere l’inizio del processo a carico di Salvatore Di Salvatore (il terzo ex funzionario Acer accusato di concussione) e di due piccoli artigiani accusati di corruzione, Marcel Danu e Melazim Albrahimi, che inizierà il 20 febbraio.
Intanto Paolo Calvano annuncia azioni legali in qualità di segretario provinciale: “sul coinvolgimento “per sentito dire” del Pd nella vicenda Acer, comunico a tutti gli iscritti, militanti ed elettori che sono pronte le querele per chi ci chiama indebitamente in causa. Difenderemo, se ce ne fosse bisogno, la nostra onorabilità con tutti gli strumenti legali e politici a nostra disposizione. E se qualcuno avesse dubbi, le nostre porte sono aperte, accomodatevi”.
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