Era il 5 aprile del 2007. Le colonne dei quotidiani locali e nazionali vennero scomodate per lanciare quello che, alla prova della realtà, si è tramutato nell’ennesimo flop a la ferrarese. Parliamo di “Pinacotheca”, un nome che ai più non dirà molto. Anche perché, nonostante le grandi promesse della vigilia, quel mega progetto non è mai partito.
Nella primavera di sette anni fa il Gruppo Carife ottenne dalla Banca d’Italia, primo caso nella storia finanziaria italiana, l’autorizzazione a creare un fondo d’investimento chiuso dedicato alle opere d’arte. Attraverso la sua società di gestione del risparmio di allora, Vegagest, doveva partire la raccolta del sontuoso capitale iniziale, 25 milioni di euro.
Il portafoglio “a regime” parlava di un budget compreso tra 20 e 50 milioni di euro, per avviare la compravendita di opere pittoriche di artisti minori attivi tra il 1200 e il 1800.
Il fondo doveva guardare in un primo momento esclusivamente a investitori istituzionali e operatori qualificati con quote minime di 250mila euro, per poi aprirsi anche ad acquirenti privati, appassionati d’arte e fondazioni di tutto il mondo. La parte tecnica doveva essere affidata a un pool di esperti coordinati da Vittorio Sgarbi, con il compito di cercare in tutto il mondo tele da acquistare. Opere d’arte di autori minori da valorizzazione a fini di una successiva vendita al grande pubblico.
Il regolamento prevedeva che dopo 18 mesi dall’acquisto il fondo avrebbe potuto mettere in vendita le opere durante la sua vita decennale, prorogabile di tre anni.
Le sottoscrizioni – ricorda un articolo del Sole 24 Ore di allora, a firma Marilena Pirrelli (inserto Plus del 7 aprile 2007) – erano partite il 30 marzo 2007 (con richiamo dell’importo secondo la necessità degli investimenti approvati). “La raccolta durerà nove mesi – proseguiva l’articolo -: alla fine dell’anno si aprirà la campagna acquisti di opere d’arte. Il periodo d’interesse artistico del fondo (1400-1800) ha registrato, secondo l’indice Gami (ArtInvestments), dal 1992-2006 un +12 per cento”.
La storia successiva è andata diversamente. Il mercato dell’arte non ha rispettato certo l’indice previsto. Tutt’altro, come vedremo. Nel frattempo, sempre in stile ferrarese (la mostra sull’Islam by Ermitage insegna), si era già annunciata come esordio in grande stile una favolosa mostra mercato a Ferrara per maggio 2007. La location individuata per l’allestimento permanente di quadri di provenienza internazionale avrebbe dovuto essere la chiesa sconsacrata di San Simone in via Belfiore 17, già di proprietà Carife. “Il fondo Pinacoteca farà sentire la propria voce nel marcato dell’arte – assicurava il direttore generale Gennaro Murolo – con importanti ricadute positive anche sul nostro territorio”. Tutto ovviamente rimasto nel libro dei sogni.
La realtà ci racconta qualcosa di molto diverso. Nel novembre dello stesso anno Milano Finanza (Numero 229 pag. 43 del 17/11/2007) scriveva che Vegagest stava ancora attuando il fund raising tra i potenziali sottoscrittori. Poi? Già nell’ottobre 2008 il fondo risulta in vendita. Lo conferma in una intervista al Sole 24Ore (inserto Plus del 10/03/2012) Valter Mainetti, amministratore delegato di Sorgente Group (tra le maggiori società italiane nel settore dei fondi di investimento) e presidente della Fondazione Sorgente group. Proprio Sorgente Sgr perfezionerà nel settembre 2009 l’acquisizione di Pinacotheca dal gestore Vegagest. Sorgente poi, nel marzo del 2012, la metterà a sua volta in vendita.
Non siamo a conoscenza dei risvolti dell’operazione, ma – almeno per il momento – l’idea di partenza non pare essere stata delle più lungimiranti: ad oggi quel fondo non ci risulta ancora operativo.
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