20 Agosto 2013
Dopo le critiche dal Canada, uno studio italiano conferma la validità del metodo ideato dal ricercatore ferrarese

Nuove conferme per le teorie di Zamboni

di Redazione | 3 min

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admin-ajax (8)Dopo le critiche canadesi, arriva da Roma un studio in sostegno del metodo Zamboni, il trattamento contro la sclerosi multipla ideato dall’accademico e ricercatore ferrarese basato – per dirla in termini ben poco tecnici – sulla “liberazione” dei vasi sanguigni ostruiti per contrastare il processo neurodegenerativo della malattia. Punto fermo delle teorie di Paolo Zamboni è il legame tra il grave morbo e la Ccsvi (insufficienza venosa cronica cerebrospinale), malattia scoperta e classificata dallo stesso Zamboni nel 2007, e proprio su questo aspetto si sono concentrati gli studi a sostegno o che mettono in discussione il metodo del ferrarese.

Se la ricerca del professore canadese Ian Rodger puntava quindi a confutare il legame diretto tra le due malattie, il lavoro dell’equipe diretta dal professor Tommaso Lupatelli (dell’Istituto clinico cardiologico dell’ospedale Gvm di Roma) pubblicato sul prestigioso Journal of Vascular Surgery le mette invece in stretta relazione. Lo studio si intitola la “fattibilità e sicurezza del trattamento endovascolare per l’insufficienza venosa cronica cerebrospinale in pazienti con sclerosi multipla” e, si legge nei suoi obiettivi, “analizza retrospettivamente la fattibilità e la sicurezza del trattamento endovascolare per la Ccsvi in una coorte di pazienti con sclerosi multipla”.

L’equipe di Lupatelli ha analizzato, da settembre 2010 a ottobre 2012, 1.202 pazienti, “ammessi a sottoporsi a flebografia ± trattamento endovascolare per la Ccsvi. Tutti i pazienti erano stati precedentemente trovati positivi all’ecocolordoppler (Cds) per almeno due criteri di Zamboni per la Ccsvi e avevano una diagnosi di Sm confermata dal neurologo”. Nella spiegazione introduttiva si specifica che “sonos tate considerate solo Sm sintomatiche” e che l’angioplastica è stata effettuata presso due diversi istituti. “La sola angioplastica con palloncino – si legge poi nella documentazione – è stata eseguita su 1205 delle 1219 (98,9%) procedure, mentre è stato richiesto un ulteriore impianto di stent nelle restanti 14 procedure (1,1%) dopo dei tentativi falliti di dilatazione dell’azygos. Non sono mai stati impiantati stent nelle Ijv”.

Le ricerche svolte dall’equipe di Lupatelli e fondate sulle scoperte di Zamboni potrebbero quindi aprire il campo a nuovi e più sicuri trattamenti medici: “Il tasso di fattibilità – spiega Lupatelli – è stato del 99,2% (1.209 interventi). Le complicanze maggiori includevano una rottura dell’azygos (0,1%) che si è verificata durante la dilatazione con palloncino e che ha richiesto una trasfusione di sangue, un (0,1%) grave sanguinamento all’inguine che ha richiesto una chirurgia aperta, due (0,2%) aperture chirurgiche della vena femorale comune per rimuovere dei frammenti di palloncino, e tre (0,2%) trombosi della IJV sinistra. I maggiori e minori tassi complessivi di complicanze a 30 giorni sono stati rispettivamente dello 0,6% e del 2,5%”.

Una spiegazione che lasciamo nel suo carattere tecnico e che porta a conclusioni molto più “comprensibili” a gran parte del pubblico: “Il trattamento endovascolare – si legge sul Journal of Vascular Surgery – per la CCSVI sembra fattibile e sicuro. Tuttavia, un’adeguata curva di apprendimento può ridurre drasticamente il tasso di eventi avversi. Nella loro esperienza, la maggior parte delle complicazioni sono avvenute nei primi 400 casi trattati”.

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