Politica
15 Novembre 2011
Marzia Marchi portata via a forza. L’imbarazzo dell’Idv dalle due facce

Ambientalisti espulsi dal municipio

di Redazione | 5 min

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Pomeriggio di show quello di ieri in consiglio comunale. Dovevano essere discussi due ordini del giorno: uno sulle tariffe dell’acqua, presentato dal capogruppo dell’Italia dei Valori Giorgio Scalabrino Sasso il 17 giugno, e uno del 4 ottobre sulle tariffe del servizio idrico integrato e la remunerazione del capitale investito, depositato da Rifondazione comunista e Comunisti italiani.

Il Comitato ‘2 sì per l’acqua bene comune’aveva annunciato da alcuni giorni (vai all’articolo) che sarebbe stato presente per chiedere al Comune di fare quanto in suo potere per concretizzare il risultato del referendum tenutosi il 13 giugno (in particolare, la vittoria dei sì a quello che chiedeva che l’adeguata remunerazione del capitale investito non contribuisse più a determinare la tariffa del servizio idrico integrato).

All’inizio della seduta, una ventina di aderenti al comitato è entrata nello spazio del consiglio riservato al pubblico. Tra loro, vari esponenti politici locali: dal capogruppo in consiglio provinciale dell’Idv Alessandro Rorato a quello di Rifondazione Stefano Calderoni, partito per cui era presente anche la responsabile per i rapporti con i movimenti Elisa Corridoni. Erano della partita anche Sergio Golinelli, ex assessore provinciale, e Marzia Marchi, componente del direttivo nazionale di Legambiente.

Quasi tutti indossavano una pettorina blu, cui era incollato un foglio con la scritta: ’13 giugno 2011 – SÌ – Io c’ero’. Qui è sorto il problema: il presidente del consiglio comunale Francesco Colaiacovo (Pd) ha avvisato che la seduta non sarebbe cominciata fino alla rimozione di quelle pettorine.

La questione avrebbe dovuto essere risolta dal Regolamento del Consiglio comunale (http://www.comune.fe.it/attach/politica/docs/regolamenti/regolamento_consiglio_comunale_set_2009.pdf), il quale in realtà non fa altro che complicare la situazione. All’articolo 71, comma 3, esso prescrive che “il pubblico deve astenersi da ogni manifestazione di assenso o dissenso dalle opinioni espresse dai Consiglieri o dalle decisioni adottate dal Consiglio, anche mediante l’uso di cartelli, striscioni, manifesti e quant’altro possa turbare l’ordine della seduta”.

I referendari sostenevano che, siccome il loro non era né un cartello, né uno striscione, né un manifesto, bensì una pettorina, dunque un indumento, potevano tenerlo. Da parte sua invece, Colaiacovo (ed il suo vice Gian Paolo Zardi, Pdl), la interpretavano come una manifestazione di assenso/dissenso, nonché un mezzo per turbare l’ordine della seduta.

Vani i tentativi di mediazione: Colaiacovo ha spiegato ai referendari che in giugno ha compiuto la loro stessa scelta, e, insieme al sindaco, li ha avvisati del rischio di creare un precedente. Nemmeno la proposta di un incontro da parte dello stesso Tiziano Tagliani (“troviamo insieme una soluzione”) ha convinto i membri del Comitato, che non si fidano degli impegni del Comune: a loro dire, dopo cinque mesi l’amministrazione non ha ancora provveduto ad applicare il risultato del referendum.

Meno diplomatici altri esponenti del centrosinistra: “È l’unico modo che avete per farvi notare” ha detto loro indirizzo l’assessore al Bilancio Luigi Marattin, che di quei referendum non è mai stato un sostenitore. Situazione difficile, poi, quella di Scalabrino Sasso, che, nonostante fosse autore di uno degli ordini del giorno, probabilmente ha visto come pericoloso lo stallo che si era creato (alla fine la seduta è cominciata intorno alle 5, con quasi un’ora e mezza di ritardo). “Non facciamo cazzate – si è rivolto poco diplomaticamente ai referendari, tra cui appunto il suo omologo provinciale Rorato –, così non ci guadagna nessuno”.

Per un momento è sembrato si fosse trovata una soluzione all’italiana, di quelle a metà tra azzeccagarbugli e folklore: i referendari avrebbero potuto sì indossare le pettorine, ma girandole, in modo che i consiglieri non potessero leggere il foglio (e quindi esserne eventualmente turbati). Tutti hanno accettato il compromesso, girando dunque il pettino, tranne Marzia Marchi.

Rimasta sola, Colaiacovo ha cercato di prenderla in contropiede, ordinando alla Polizia municipale (di cui, sempre a norma di Regolamento, può avvalersi per mantenere l’ordine) di mettere in pratica quanto aveva più volte minacciato: espulsione. Divertita, l’ambientalista ha domandato a quel punto che a portarla fuori ci fossero almeno “due giovani di bell’aspetto”, e non ha ovviamente perso la ghiotta occasione per farsi riprendere ed immortalare da fotografi ed operatori, chiedendo addirittura “la prima pagina di domani”.

Una volta espulsa lei, però, i problemi non erano finiti: non appena Colaiacovo aveva ordinato il rosso per chi non si atteneva all’accordo “pettorine girate”, infatti, altri sette-otto referendari l’avevano girata un’altra volta, mostrando nuovamente ai consiglieri il foglio dello scandalo. Momenti di indecisione tra la municipale, a cui però era nel frattempo arrivata a dar manforte la Polizia di Stato: un nerboruto ispettore della Digos in borghese ha portato fuori da solo in braccio il militante Roberto Baldisserotto.

A quel punto, gli altri membri del comitato sono stati ricevuti dalla conferenza dei capigruppo, la quale ha deciso che gli ordini del giorno saranno discussi in una prossima seduta apposita, chiusa però al pubblico. Marzia Marchi ha terminato il pomeriggio sullo scalone, parlando al megafono di “una cittadina, maestra e ambientalista portata via a forza dal Consiglio comunale per aver esposto un foglio con cui rivendicava di aver votato sì ad un referendum”.

L’ambientalista ha ricevuto unanime consenso e applausi dal pubblico improvvisato che si fermava incuriosito. “Di fatto  si è realizzata una forma di censura – protesta la Marchi – nei confronti della testimonianza che la scritta recava circa la volontà popolare di 27 milioni di italiani,  rimasta lettera morta da ben cinque  mesi. Hanno fatto paura la presenza di quel ‘Sì io c’ero’ e la scritta ‘Acqua bene comune’ a una maggioranza consiliare (Pd, Idv, Sinistra Aperta, Laici Riformisti), che peraltro ha votato Sì al referendum, poiché non è concepibile l’obiezione che altrimenti si sarebbe creato un precedente. Nessuna altra situazione è paragonabile alla richiesta di applicazione di una legge approvata per volontà popolare attraverso un referendum”.

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