Editoriali
3 Ottobre 2022
Editoriale. Il dibattito sulla rifondazione del Partito democratico: 15 anni dopo al punto di partenza

Quelli che… erano rivolti al futuro

di Marco Zavagli | 4 min

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Correva il maggio del 2007. Nella sala del Borgonuovo erano radunati 75 giovani leve dei Ds.

Per facilitare i lettori più giovani: i Ds erano i Democratici di Sinistra. Eredi anagrafici del PdS (il Partito Democratico della Sinistra di occhettiana memoria) e del Partito comunista italiano che fu. Qualche ottimista bontempone aveva titolato la serata “Costruzione di un partito. Cantiere di politica partecipata”.

I vari volti under 40 avevano appena firmato un documento. Si chiamava “Rivolti al futuro”. Un contributo verso “la costruzione del Partito democratico – vi si leggeva – e per rinnovare il modo di pensare la politica in vista della stagione congressuale” che avrebbe creato la fusione con la Margherita.

“Un partito nuovo si può fare solo con una classe dirigente nuova” gridavano allora i firmatari. Firmatari che si chiamavano Paolo Calvano, Marcella Zappaterra, Nicola Minarelli, Massimo Maisto, Simone Merli, Luigi Marattin… Quella serata vide l’intervento di un altro giovane di allora, direttamente dalla Liguria. Andrea Orlando, al tempo responsabile nazionale Organizzazione Ds.

Il messaggio rivolto al futuro si chiudeva con la speranza che “la primavera 2007 deve vedere l’avvio di un’esperienza realmente, radicalmente e meravigliosamente nuova”.

Ricordo che al tempo, da inguaribile pessimista, storsi il naso di fronte a quello che ritenevo – parlo del nascituro Pd – nulla più che un escamotage elettorale per cogliere voti nel famoso centro moderato in funzione anti-Berlusconi. Il famoso centro moderato, poi, ha avuto molte occasioni da allora in avanti per vendicarsi dei suoi adulatori. A Ferrara come a Roma.

Tornando ai Rivolti al futuro – che al tempo ribattezzai malignamente “Contorti al futuro” -, il loro proposito era quello del “rilancio dell’idea di una politica rinnovata negli approcci e nei metodi”.

Tra tanti giovani promettenti, intervenne l’attempato sindaco Gaetano Sateriale a mettere in guardia da rischi di astrattismo e formalismo. “Approvo l’innovazione della politica – affermava – come spinta propulsiva per il Paese, ma quando si parla di riforme bisogna anche saper dire quali. Non cadiamo nella presunzione che basti la carta d’identità”.

A distanza di 15 anni sappiamo che non bastava la carta d’identità. Ma non è bastato nemmeno fondare un partito nuovo. A Ferrara come a Roma. E uno dei primi a capirlo fu proprio Sateriale, che quasi dieci anni fa decise che la sua strada non coincideva con quella del Pd.

È illuminante su questo punto l’atto di pentimento che in questi giorni l’ex sindaco ha consegnato alla sua bacheca Facebook: “Basta con i dilettanti della politica e i professionisti di partito, basta con i capi corrente che si dividono le cariche pubbliche (alla faccia degli elettori), basta con un partito che non guarda la società ma solo le stanze che occupa”.

È proprio lui, che alla prima assemblea costituente si mise in tasca la tessera di “fondatore” del Pd, a dire oggi che “quel progetto è fallito per ignavia, incompetenza, piccoli interessi di bottega. Bisogna ripartire da zero: fondare un soggetto politico nuovo, largo, di sinistra, moderno ma che non vive sui social. Reale invece, radicato socialmente, e territorialmente”.

Un soggetto “che tenga insieme giustizia sociale e riconversione ecologica (le persone e l’ambiente in cui vivono) in un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Un soggetto politico giovane (soprattutto anagraficamente), in cui i vecchi, i pensionati come me, se hanno voglia danno una mano a spazzare il pavimento, ma non fanno né i primi attori, né i registi. Sarà lunga, ma è l’unica strada per cui valga la pena impegnarsi: a Ferrara come a Roma”.

Credo che la strada indicata da Sateriale, e non solo da lui, possa essere percorribile per riconsegnare alla politica un soggetto realmente progressista e offrire alle fila che ingrassano il partito maggiore d’Italia, quello degli astenuti, un motivo per riprendere la matita in mano. A Ferrara come a Roma.

Speriamo solo che quel soggetto non sia troppo… “rivolto al futuro”. Altrimenti i suoi sostenitori si ritroveranno tra 15 anni al punto di partenza. Con addosso le cicatrici di quelle battaglie – le battaglie per i diritti civili – che non solo non hanno vinto, ma non hanno mai combattuto.

Non basta fondare un partito nuovo. Servono valori e persone che incarnino quei valori. Serve una cultura che formi coscienze e menti capaci di contenerli. Prima di creare il contenitore occorre pensare al contenuto. A Ferrara come a Roma.

“Partito tutto nuovo, Cippa”. “In garanzia, spero”. Allora – era l’89 – il buon Cipputi, l’operaio inchiostrato da Altan tra gli ingranaggi del Bel Paese, si riferiva ai tempi della Bolognina.

Nel 2037 non vorrei tornasse d’attualità un’altra battuta del vignettista. “E se stessimo facendo un gran sbaglio?”. “Ci avremo tutto il tempo di capirlo. La storia non finisce mica domani”.

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