Maturità. “Caro Bianchi, sulle tracce serviva più coraggio”
Una lettera di Tommaso Mantovani, docente e consigliere comunale, al ministro dell'Istruzione
di Tommaso Mantovani*
No, egregio ministro P. Bianchi: le tracce della prima prova delle superiori non erano “tutte bellissime”.
Capisco e condivido, a volte, il bisogno di motivare, di mostrarsi “ottimisti”. Ma questa è la visione dei manager, degli imbonitori che devono vendere qualcosa che ha un prezzo. O quella del mondo agonistico, troppo legata al risultato, a tutti i costi. Non può essere quella di una istituzione educativa e culturale come la Scuola, rivolta alla cura e alla formazione dell’essere umano, fin dai tempi di Aristotele.
Se mai, dovremmo trasmettere la metodologia scientifica della ricerca, lo spirito critico dell’analisi. Anche l’umanità e l’intelligenza delle emozioni e dei sentimenti.
Non il plagio, i facili entusiasmi, il culto dell’apparenza. Avere o Essere, si chiedeva Fromm.
Da anni continuo a chiedermi che cosa c’entrino le metodologie aziendali e del marketing nella scuola pubblica: come lo misuriamo il “bilancio attivo”? Con il numero di iscritti? Con la media generale dei voti? Per quelli, basta essere di manica larga e garantire la promozione facile.
Ma, mi chiedo, le superiori devono essere un diplomificio?
Sono anni irripetibili questi dell’adolescenza e dell’età evolutiva in generale, in cui hanno fondamento il carattere e la sensibilità culturale di ciascuno di noi. Perché anteporre la propaganda, la “motivazione”, come in qualsiasi prodotto da vendere?
La scelta delle tracce mi è sembrata rivolta ad evitare polemiche sulla scelta dei titoli, più che ad una vera prova delle capacità critiche e di rielaborazione di uno studente arrivato alla fine di un percorso culturale, di 4/5/6 anni…
So perfettamente che in Italia abbiamo la polemica e il ricorso facile. Capisco benissimo che dopo due anni di esami condizionati dalla pandemia, si presti il fianco a qualsiasi critica. Come la mia :).
Ma un po’ più di coraggio, signor ministro, andrebbe trasmesso ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze. Non in modo ostentato e teatrale, come nel bullismo che cerchiamo di combattere ogni giorno. Semplicemente, dimostrando che non è sempre la soluzione migliore evitare ogni possibile conflitto.
E decidendo con chiarezza se si vuole la cosiddetta e sbandierata “meritocrazia”.
O se sia più giusta, come ritengo, una scuola vista come antidoto alla superficialità, alla omologazione, alla quantificazione. Come purtroppo vorrebbero fare le prove Invalsi e i Rapporti di autovalutazione, voluti dai renziani e mirati alla creazione di tanti diplomifici. Per di più, in contraddizione con gli stessi principi di personalizzazione e individualizzazione dei programmi, dell’accoglienza e dell’inclusione, divenuti obiettivi imprescindibili negli ultimi trent’anni…
Quindi, signor ministro, togliamo il manto di retorica e di propaganda alla schizofrenia inevitabile che c’è in Italia, tra “scuola selettiva” e “scuola relazionale”. Questa sfida, come insegnanti, la accettiamo ogni giorno, in una dialettica tipica della complessità. Che non si può risolvere nella visione di ragazzi e genitori come clienti da accontentare comunque, perché la Scuola sarebbe un “servizio” e “il cliente ha sempre ragione”…
Firmato: un docente con 20 anni di servizio. Contrastivo e disfunzionale.
*Tommaso Mantovani è docente e consigliere comunale del M5S a Ferrara.