Si avvicina il momento della conclusione per il processo Wall Street, quello sullo spaccio nei giardini del Grattacielo a carico di 17 imputati, quasi tutti di nazionalità nigeriana. Il 15 aprile è la data fissata per le eventuali repliche di pm e avvocati e in quel giorno dovrebbe arrivare anche la sentenza da parte della giudice Giulia Caucci.
Dopo la requisitoria del pubblico ministero Andrea Maggioni della settimana scorsa, ieri (venerdì 1° aprile) è stato il turno delle arringhe dei difensori. E se il pm era stato duro anche nei loro confronti, non meno dura è stata, a tratti, la risposta dei legali, che hanno chiesto per i loro assistiti assoluzioni.
Gli avvocati hanno contestato le modalità d’identificazione degli imputati da parte degli inquirenti (ricordiamo che fu un’operazione condotta dalla sezione Antidroga della Squadra mobile estense, in collaborazione con gli agenti sotto copertura dello Sco di Roma, avvalendosi di telecamere nascoste e intercettazioni telefoniche), per la scarsa qualità delle immagini delle telecamere, o per il mancato riconoscimento in udienza da parte dei consumatori chiamati a testimoniare. È stata contestata anche la modalità con cui la procura ha scelto di determinare le pene, applicando un minimo base per tutti e poi aumentandola a seconda degli episodi contestati, arrivando, rilevando i legali, anche a sforare il triplo della pena base, cosa che non è ammessa dalla legge.
Fra gli interventi più duri, quello dell’avvocato Simona Maggiolini: “Il pm ha criticato la scelta dei difensori di non fare l’abbreviato, ma non ha minimamente tenuto conto delle singole posizioni e di quanto emerso nel dibattimento. Ha fatto finta che il processo non ci sia stato e per alcune posizioni, con la continuazione si arriva addirittura sopra il triplo della pena base: sono pene sproporzionate, non ben calibrate”. Severo fu il pm, severa è la risposta: “Non si sarebbe dovuto addentrare nelle scelte processuali degli avvocati, ché non gli competono”.
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