Attualità
29 Novembre 2021
A coordinare l'iniziativa è Stefano Cavallini. Una trentina i componenti del team che hanno firmato un codice etico per entrarvi

Detenuti insieme verso la meta col progetto di Rugby 27 Asd Ferrara

di Redazione | 4 min

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di Davide Soattin

Aiutare i detenuti nel processo di recupero e di reintegro nella società attraverso il rispetto delle regole e della disciplina, ma anche tramite la costruzione di legami sociali e affettivi che solo lo sport è capace di dare.

Questo l’obiettivo del progetto che sta alla base della società Rugby 27 Asd Ferrara, nata a inizio settembre all’interno del carcere di via Arginone, grazie all’impegno di un team composto da una decina di volontari tra allenatori, ex arbitri e giocatori e al sostegno economico di due sponsor come Emilbanca e Cm Srl, aderenti al programma Fir “Rugby oltre le sbarre”.

A raccontarne la genesi è il presidente Stefano Cavallini, ex assessore del Comune di Ferrara che nel 2014, dopo aver terminato la propria importante esperienza di presidente di sezione tra le fila di Cus Ferrara, insieme ad alcuni colleghi di Bologna, ha deciso di dare vita all’associazione sportiva Giallo Dozza-Rugby Bologna 1928 dentro al penitenziario felsineo, iscrivendo la squadra al campionato di Serie C.

Un’avventura che si è conclusa a fine primavera del 2021, poco prima della proposta al carcere di Ferrara: “La direttrice non ci ha pensato due volte e mi ha detto subito di sì, così ho iniziato a costruire un gruppo di lavoro e abbiamo dato vita alla nostra attività.  Nei primi giorni di settembre abbiamo incontrato una sessantina di detenuti, a cui abbiamo illustrato il nostro programma e da lì sono iniziate ad arrivare adesioni”.

Oggi i componenti della squadra sono all’incirca 30 e si allenano due volte alla settimana sul campo, mentre il venerdì pomeriggio assistono a lezioni e riunioni tecniche nella sala teatro. “Per fare come a Bologna – rivela Cavallini – è ancora molto presto perché ci mancano le strutture. Il campo ha le condizioni necessarie per essere omologato, anche se ci mancano le H. Ci servono tutto un insieme di autorizzazioni e di soldi, ma lo faremo”.

A rincorrere la palla ovale è un gruppo eterogeneo a livello di nazionalità, dove l’età media è tra i 20 e i 35 anni e il più vecchio ne ha 40: “Abbiamo stabilito che al progetto potranno partecipare quelli che hanno minimo tre anni di pena, dal momento che una delle caratteristiche principali è assicurare continuità e stabilità, e non potranno farvi parte quei carcerati che hanno commesso reati sex offenders o di associazione mafiosa, mentre a tutti gli altri abbiamo deciso che va data un’altra opportunità, come spiega l’articolo 27, da cui prende il nome la nostra società”.

A tal proposito, Cavallini aggiunge: “I detenuti hanno firmato un codice etico che impone a loro di non prendere nessun tipo di provvedimento disciplinare durante la reclusione, così come di non mettere in pratica nessun atteggiamento provocatorio o violento durante gli allenamenti. La pena è l’esclusione dal progetto, per cui chiediamo continuità e serietà nel presentarsi agli allenamenti”.

E questo porta a benefici significativi sul recupero della persona: “Dall’esperienza di Bologna abbiamo visto che attraverso alla partecipazione a questo corso è calata la recidiva oltre il 30%, così come i provvedimenti disciplinari per litigi o aggressioni con ispettori e guardie e il marco visita, vale a dire quando uno si imbosca per non fare quello che deve fare, ma soprattutto l’uso del fumo. In più, due anni fa, a Bologna c’è stata la rivolta e l’unico reparto che non vi ha partecipato è stato proprio quello in cui vi erano i rugbisti”.

“Il senso della nostra operazione – chiude il responsabile – è proprio questo. Prepararli all’uscita, fornendo a loro gli strumenti per l’integrazione futura. Purtroppo però c’è un buco in questo progetto. Noi cerchiamo di fargli fare anche solo un centimetro verso il recupero, ma resta sempre l’interrogativo su cosa succederà dopo, quando usciranno. Di sicuro uscirà gente un po’ più educata e che ha avuto la fortuna di vivere la pena in maniera meno traumatica ma, se non ci sono offerte, il rischio che si possano ricadere nel baratro devo dire purtroppo che è concreto”.

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