Politica
20 Luglio 2021
Leonardo Fiorentini: "Non so se avevamo ragione su tutto, ma i ventenni di allora si facevano le domande giuste"

Dal G8 di Genova al sovranismo, la mia generazione deve trovare una via d’uscita

di Redazione | 4 min

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di Leonardo Fiorentini

Sono passati 20 anni dal vertice di Genova del G8 e dalle manifestazioni di dissenso represse nel sangue. E se, come canta De Gregori, “vent’anni sembran pochi” a guardare avanti, sono invece davvero molti nel voltarsi indietro.

Sento spesso dire “avevamo ragione”, l’ho detto anche io in passato. Non so, non l’ho mai saputo effettivamente, se avevamo ragione su tutto. Coltivare il dubbio fa parte di un certo modo di interpretare il nostro cammino su questo mondo. Di una cosa però oggi sono convinto: i ventenni di allora si facevano le domande giuste, e ponevano alla società problemi, temi e proposte che poi stiamo tuttora attraversando in tutta la loro drammaticità. Dalla finanziarizzazione dell’economia, che ci ha trascinato nella più feroce e lunga crisi economica del dopoguerra, sino alla questione ecologica e del cambiamento climatico che oggi comincia a chiederci il conto. E poi la questione che è stata purtroppo centrale prima, durante e dopo il G8: la repressione del dissenso e la tenuta della democrazia. Genova è stato il luogo in cui per la prima volta ho visto con i miei occhi la violenza dello Stato contro persone che volevano pacificamente manifestare le proprie idee. Me l’avevano raccontata, ma non l’avevo mai realmente provata o respirata. Non ne ero mai fuggito, prima di Genova. È stata usata una violenza inaudita per uno Stato che vuole definirsi democratico. È stato ucciso un ragazzo, Carlo Giuliani, ed insieme a lui è stato ucciso un movimento che aveva fatto della diversità uno dei suoi punti di forza. La violenza dello Stato che poi ho rivisto nella mia città, con la morte di Federico Aldrovandi, e nelle vicende di Aldo Bianzino, Giuseppe Uva, Riccardo Magherini o Franco Mastrogiovanni, fra le tante. Una violenza che sembra essere strutturale e che abbiamo rivisto recentemente nel carcere di Santa Maria Capo a Vetere.

L’altra cosa di cui sono certo è che quell’esperienza ha segnato la mia vita, sia in termini personali che di impegno politico. Sono la persona che sono oggi per ciò che ho vissuto e provato in quei giorni insieme alle compagne e i compagni di lotta di allora. Senza le riflessioni e la profondità di pensiero di allora non farei le cose che faccio e non penserei quello che penso oggi.

A differenza del Buffalo Bill cantato da De Gregori, quella generazione non ha firmato il contratto col circo. Non solo perchè il circo non c’è più da tempo, ma perché ha sì scartato di lato ed è caduta, ma a differenza del bufalo ha saputo anche rialzarsi. È così presente oggi come spina dorsale dei movimenti per i diritti civili, sociali, per un’economia equa e nelle battaglie ecologiste per la limitazione dei mutamenti climatici.

È davvero paradossale che l’uscita da questo ciclo neoliberista sia stata rappresentata una svolta populista e sovranista. Gli eredi diretti di coloro che nel 2001 guidavano la più grande violazione dei diritti civili nel nostro paese, oggi sembrano incassare i frutti del malcontento e del dissenso generato dalla crisi di quel modello. Dagli scranni del Governo, sino alla Centrale Operativa dei Carabinieri a Genova, sono stati fieri protagonisti della repressione di istanze e proteste di chi chiedeva una diversa globalizzazione, capace di tenere insieme economia e società, diritti e ecologia. Allora difendevano gli interessi dei Grandi, costruivano zone rosse, alzavano muri di container contro chi chiedeva di globalizzare i diritti, tassare e limitare le speculazioni finanziarie, arginare lo strapotere delle multinazionali, prevenire i mutamenti climatici. Oggi sono lì ad innalzare altri muri contro i migranti e a spacciare per “libertà” il rimanere ignoranti, continuare a inquinare e il lottare fra poveri. Sono i fieri paladini del nostro “modo di vivere”, con l’unica costante di rimanere rigorosamente forti con i deboli e deboli con i forti.

Con tutto questo la mia generazione, insieme a tutta la sinistra progressista, deve riuscire a fare i conti e trovare presto una via d’uscita, pena il continuare ad avvitarsi su noi stessi.

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