Attualità
19 Luglio 2021
Luca Greco, oggi sindacalista: "Non credo che abbiamo perso. Noi, la generazione di Genova, lottiamo ancora"

G8 di Genova. I ragazzi di vent’anni fa

di Marco Zavagli | 4 min

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Vent’anni fa aveva 22 anni. Studiava filosofia all’università. Doveva partire il 21 luglio per Genova, per unirsi all’ultimo giorno di cortei. Ma al telegiornale compaiono le immagini di Piazza Alimonda e dei massacri in strada. “Ero sul divano con mia madre – racconta Luca Greco, oggi sindacalista della Funzione pubblica della Cgil -. In televisione dicono che è morto un ragazzo. Viene descritto come un punkabbestia, un delinquente, un black block”.

Il timore di subire quei soprusi da parte delle forze dell’ordine li assale. “Aspettiamo che torni mio padre dal lavoro. Poi ci confrontiamo e alla fine decidiamo che dobbiamo esserci”.

Luca parte in macchina con i genitori. Destinazione stazione di Bologna. “Cerchiamo un treno speciale che porti a Genova”. Il percorso è quasi un labirinto. Arrivano ad Arezzo. Da lì un cambio e destinazione Liguria.

“Arrivati a Quarto la tensione si tocca con mano. Pensate a un ragazzo di quell’età che si trova in mezzo a quella situazione. Credo fosse dai tempi di Giorgiana Masi che un manifestante non venisse ucciso in piazza”.

Intanto il corteo sfila, tra rabbia a paura. Poi succede qualcosa. “Ho visto scene drammatiche quando la Polizia ha spezzato a metà il corteo sul lungomare”.

Iniziano gli atroci pestaggi sui marciapiedi. Luca in quel momento si trovava in coda alla prima parte. “Un cordone della Cgil ci fa rientrare nel corteo e riusciamo a salvarci”. Intanto tutt’intorno “in acqua gli agen ti sommozzatori, intorno i lacrimogeni e in alto i manganelli”.

Vengon caricati più volte alle spalle, fino a quando giungono nei pressi della zona rossa.

“Sento ancora il rumore degli elicotteri”. Ancor oggi quel suono diventa un riflesso pavloviano: “a ogni manifestazione quando li sento mi viene la pelle d’oca”.

A un certo punto il corteo imbocca un cavalcavia. “Ci guardavamo tutt’intorno. Se in quel frangente ci avessero attaccato sarebbe stato un altro massacro. Non c’erano via di fuga”.

Alla fine riescono a uscirne e sulla sinistra compare il manifesto con la scritta ‘Benvenuti a Genova, città del mondo’. “Mi sono sentito come Dante quando esce a rimirar le stelle. Stavamo uscendo dall’inferno”.

Ma l’inferno, a Bolzaneto prima e alla Diaz poi, era appena iniziato. “Abbiamo rischiato di esserci anche noi in mezzo a quella mattanza – rivela Greco -. Al ritorno non c’erano treni disponibili, ervamo stanchissimi e la stazione di Brignole era chiusa”. Poi, per loro fortuna, i cancelli si aprirono. Partiva un treno direzione Bologna.

“Stavamo tornando in auto verso Ferrara quando ci siamo fermati in autogrill. Sul televideo leggemmo dell’irruzione nella scuola”.

E oggi, vent’anni dopo, a 42 anni Luca Greco pensa che “non è sufficiente dire che avevamo ragione. Qual movimento nato a cavallo degli anni Duemila, trasversale e partecipato, faceva paura”. E purtroppo “la repressione ha funzionato, perchè tanta gente della mia età da allora ha smesso di rivendicare i propri diritti e battersi per veder riconosciuti quelli dei più deboli. Molti si sono rifugiati nell’individualismo”.

Eppure “certe istanze erano più che attuali, anzi precorrevano i tempi: pensiamo ai medicinali gratuiti per tutti, ai cambiamenti climatici”.

Il movimento ha perso? “Non lo so, perché sono ancora convinto che qualche energia sparsa ci sia. Siamo come un grande fiume carsico le cui correnti si sono insinuate in modo sotterraneo nel letto che percorre. Ma non credo che abbiamo perso. Noi, la generazione di Genova, lottiamo ancora. E quelle istanze oggi danno la spinta ai vari Fridays for Future e Blacklivesmatter che vediamo oggi”.

Ma in tutto questo al ragazzo di vent’anni fa c’è qualcosa che non va giù: “ogni 20 luglio succede qualcosa che non riesco a digerire: tutti esprimono indignazione per le torture della Diaz e di Bolzaneto, condannano i depistaggi e le false prove, ma su Carlo Giuliani stendono un velo. Tutti buoni e Carlo l’unico cattivo. Ma non c’erano né buoni né cattivi in quel luglio del 2001. Noi eravamo lì a rivendicare condizioni di vitas migliori per tutti”.

Questa, per Greco, la più grande ferita. Il silenzio sceso sull’omicidio di Piazza Alimonda. E chiude ctando proprio l’omonima canzone di Francesco Guccini: “Resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita”.

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