Eventi e cultura
30 Dicembre 2020
Intervista al cantautore. “Quel palco grandioso, anche se vuoto, era ricco di parole e di musica”

Cristicchi posa la sua valigia nella città fuori dal tempo

di Marco Zavagli | 5 min

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(foto di Marco Caselli Nirmal)

“Ferrara? una città fuori dal tempo”. In due parole Simone Cristicchi descrive la città che ospita la prima assoluta del suo spettacolo “Cantata d’autore”, che andrà in onda questa sera, mercoledì 30 dicembre, alle 21.50 su TV 2000.

Lo spettacolo, registrato dal palco del Teatro Comunale di Ferrara ‘Claudio Abbado’, avrebbe dovuto inaugurare la stagione di lirica 2020/21 in presenza, come primo appuntamento, ma, viste le chiusure dei teatri, l’evento è stato registrato e programmato per il pubblico televisivo.

Si tratta di una produzione propria del Teatro comunale di Ferrara che vede protagonisti, con Cristicchi, anche tanti artisti ferraresi, del Coro Veneziani e dell’Orchestra città di Ferrara.

Cosa ci aspetta questa sera?

Il racconto di un viaggio, un viaggio sovrapponibile al mio percorso artistico, un viaggio soprattutto alla ricerca di storie, come se fosse una grande valigia piena di racconti, di canzoni, di poesie. “Cantata d’Autore” rispecchia quella che è la mia attitudine verso l’arte, capace di risvegliare le coscienze e nello stesso tempo veicolo per portare alla luce delle storie dimenticate come l’esodo dall’Istria, quella dei manicomi, storie che fanno parte della mia ricerca di artista e di uomo.

Non sarà solo a portare quella valigia.

Infatti. Mi accompagnano questa orchestra meravigliosa e questo coro che danno al concerto un afflato epico.

E nell’epos, nel canto epico, c’è sempre il racconto di un viaggio in fondo.

Esatto. Per me è un viaggio a ritroso però, perché parto dal presente, dal momento storico che stiamo vivendo e faccio un percorso nella storia e nella memoria del nostro Paese attraverso le canzoni mie e di altri per arrivare a delle vette più alte.

Alcuni percorsi a ritroso, come quello sull’esodo giuliano dalmata o quello sulla malattia mentale le hanno portato forti critiche.

Sì, è successo soprattutto con Magazzino 18, che è stato lo spettacolo di maggior successo, con una tournèe andata avanti per tre anni e mezzo. Quel lavoro ha portato alla luce una vecchia diatriba tra destra e sinistra. All’inizio lo spettacolo è stato criticato, ma in realtà io volevo mettere in luce – come faccio in “Cantata d’Autore” – qualcosa di più alto della politica, che è l’umano, la malinconia, lo strappo dalle radici, la perdita della propria identità e questi sono temi poi che riguardano la sofferenza di un popolo. In questo caso il teatro diventa terapeutico.

Come reagisce come artista di fronte alle critiche politiche?

Inizialmente ho sofferto, perché non pensavo di scatenare questa disputa; poi ho cercato un contatto con queste persone che mi criticavano, ma quando mi sono reso conto che per alcuni l’ideologia era più forte della compassione umana mi sono defilato.

(foto di Marco Caselli Nirmal)

Ho letto un termine particolare che la descrive: ricercautore. Si identifica con questo epiteto?

Sì, perché è a metà strada tra il ricercatore e il cantautore. Molti miei spettacoli nascono da un innamoramento per un determinato argomento, per una storia. Queste storie poi diventano canzoni , addirittura anche spettacoli teatrali come nel caso di Magazzino 18, o magari poi si trasformano in libri e anche documentari, come avvenuto con il mio ultimo lavoro sulla felicità, Happy Next, un lavoro vero e proprio da documentarista- Ho raccolto tantissimi materiale e intervistato più di cento persone su questo tema.

È in fondo il labor limae che insegnava Orazio. La preparazione, la ricerca, come fondamento dell’opera artistica.

Mi piace il concetto. Io faccio più che altro un lavoro poetico su queste storie, su questi avvenimenti. Credo molto nella potenza dell’arte e della canzone, sia per divulgare delle storie sia per trasmettere delle emozioni e condividere con altri il senso della mia ricerca.

Tra gli autori che porta sul palco c’è anche Sergio Endrigo. Non posso che esserne felice.

È una figura che ho sentito sempre vicina, lo ascoltava mia madre quando ero bambino.

Anche lei è stato direttore di teatro.

Vero. Ho diretto per tre anni il Teatro stabile d’Abruzzo.

Che esperienza è per un ricercautore indipendente essere direttore di una istituzione culturale?

È una esperienza particolare, perché se da una parte ho portato la mia esperienza di teatro e ho prodotto spettacoli che si rifacevano a questa mia prospettiva, dall’altra ho operato in una città ferita dal terremoto, dove non esiste ancora un teatro vero e proprio. Ho cercato in tutti i modi di dare il meglio e trasmettere ai cittadini una visione che andasse oltre le macerie, per guardare la vita da un’altra prospettiva cercando di uscire da uno stato d’animo di afflizione. Pensiamo che a L’Aquila si respira ancora il dramma di quell’evento catastrofico. Io ho cercato di fare del teatro una forma di terapia, con storie che parlassero di speranza, di magia, di positività. Ma non e stato facile. È stata comunque una sfida meravigliosa con risultati, credo, ottimi.

La domanda precedente era propedeutica a quella che coinvolge il nuovo direttore del Teatro Comunale di Ferrara. Moni Ovadia è stato al centro di accese polemiche sia da destra che da sinistra per l’incarico che ha accettato.

Conosco Moni Pvadia come persona e credo che in fatto di sensibilità artistica e umana sia una certezza. Al di là degli schieramenti politici il teatro dovrebbe essere uno strumento per la città. Ed è giusto che ci sia una persona di cultura a guidare questo strumento. E Moni Ovadia è un personaggio di una cultura straordinaria, quindi può solo fare solo bene.

Cosa ha provato su quel palco deserto?

Abbiamo registrato questo concerto in due giorni ed è astato meraviglioso vedere come tutti noi, dal musicista al corista ai tecnici, eravamo lì per realizzare qualcosa di speciale. Ieri (lunedì, ndr) ho visto la prima proiezione del concerto a porte chiuse ed è stata un’emozione grandissima. Quel palco grandioso, anche se vuoto, era ricco di parole e di musica. Un’emozione unica, per me è un punto d’arrivo, un tirare le somme di quello che è stato il mio percorso artistico. Un’apertura, per me e per la mia vita.

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