Cronaca
30 Ottobre 2020
Imputati Lenzi e Forin. Ieri la relazione del giudice. In aula anche i pm di primo grado

Iniziato il processo di appello per il crac Carife

Sergio Lenzi, ex presidente di Carife (foto di Alessandro Castaldi)
di Redazione | 4 min

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Sergio Lenzi, ex presidente di Carife (foto di Alessandro Castaldi)È iniziato presso la Corte di Appello di Bologna il processo per il crac di Carife. In primo grado l’11 febbraio 2019 vennero condannati l’ex presidente del cda Sergio Lenzi e l’ex direttore generale Daniele Forin per falso in prospetto, ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio.

La procura di Ferrara aveva chiesto per loro condanne rispettivamente a 7 anni e 4 mesi e 7 anni, Il giudice collegiale invece condannò il primo a 2 anni e 6 mesi per Lenzi e a 2 anni a 3 mesi il secondo.

Mentre tutti gli altri 9 imputati vennero assolti, il tribunale di Ferrara considerò i due ex vertici della banca citttadina gli unici responsabili della redazione di un falso prospetto, distribuito ai potenziali azionisti, omettendo di dar loro informazioni rilevanti per soppesare il rischio; di aver dato false informazioni (aggiotaggio), mancando di aggiornare il prezzo delle azioni (21 euro ciascuna) in ragione del risultato consolidato di bilancio molto negativo conseguito nel 2010 e diffondendo comunicati stampa non veritieri; di aver ostacolato la vigilanza Consob, omettendo di informarla sui requisiti richiesti da Bankitalia in merito all’aumento di capitale (raggiungere un tier-1 ratio almeno dell’8% e che l’aumento fosse diretto a soggetti idonei a valutare il rischio), nonché omettendo di aggiornare le previsioni contenute nel prospetto sulla base ai risultati 2010.

Alla base della decisione del giudice di prima istanza – e quindi dell’assoluzione dei coimputati e della assoluzuione di Lenzi e Forin dall’accusa di bancarotta – ci fu la considerazione che l’aumento di capitale da 150 milioni di euro del 2011 non fu fittizio e, anche se non venne eseguito con tutti i crismi, non fu causa del dissesto di Carife.

Lenzi e Forin – oltre alle spese di giudizio, che sommate arrivano a qualche centinaia di migliaia di euro – vennero inoltre condannati a risarcire le parti civili che avevano sottoscritto l’aumento di capitale del 2011 – fra queste anche la Banca Valsabbina, che sottoscrisse l’aumento per 10 milioni di di euro – e la Consob.

Ieri nella prima sezione penale della Corte di Appello l’udienza – alla quale hanno potuto partecipare solo una parte dei legali di parte civili date le misure anti-Covid – si è aperta (e si è chiusa) con la relazione del giudice. Al termine l’udienza è stata rinviata al 10 dicembre, quando il procuratore generale terrà la sua requisitoria per passare poi la parola alle parti civili.

L’accusa pubblica è rappresentata anche dai pm ferraresi che hanno portato avanti il processo di primo grado, i sostituti procuratori Stefano Longhi e Barbara Cavallo.

Dei dodici imputati iniziali rimangono fuori da richieste di revisione solo in tre: Paolo Govoni e Teodorico Nanni – per i quali già davanti al tribunale di Ferrara era stata chiesta l’assoluzione – e Ezio Soardi di Banca Valsabbina, la cui posizione era stata stralciata.

La revisione è chiesta dunque per Sergio Lenzi (ex presidente), Daniele Forin (ex dg) – gli unici ad esser condannati rispettivamente a 2 anni e 6 mesi e 2 anni e 3 mesi ma ‘solo’ per i reati di falso in prospetto, aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza di Consob -; Davide Filippini (ex direzione Bilancio, considerato dalla procura il deus ex machina di tutta l’operazione), Michele Sette (direzione Finanza); Germano Lucchi, Adriano Gentili e Maurizio Teodorani (vertici di CariCesena), Spartaco Gafforini (ex dg di Valsabbina) e Michele Masini, revisore della Deloitte & Touche.

A tal proposito, sull’ipotesi di bancarotta fraudolenta generata dalla fittizia formazione di capitale tramite sottoscrizioni reciproche tra Carife, le due controllate Carife Sei e Banca di Credito di Romagna, CariCesena e Banca Valsabbina, la procura chiede di riconoscerla solo per poco più di 1 milione di euro di sottoscrizione con quest’ultima: l’unica quota contestata che anche nel processo di primo grado ha superato il vaglio ‘distruttivo’ dell’istruttoria, ma che non è stata considerata rilevante per l’esiguità della somma rispetto ai 150 milioni totali dell’operazione.

Per il resto delle sottoscrizioni reciproche di fatto i pm chiedono ai giudici dell’appello di fare ciò che quelli ferraresi hanno negato: riqualificare il fatto, ovvero ricondurlo sotto un diverso ombrello normativo, quello della bancarotta impropria. Già le motivazioni della sentenza di primo grado avevano aperto tale possibilità, sostenendo che la procura avrebbe dovuto rifare tutto da capo, senza però restituirle gli atti.

Per alcuni reati, come il falso in prospetto e l’aggiotaggio, è scattata la prescrizione dopo la sentenza, e in questo caso la Procura ha chiesto che venga riconosciuta comunque la responsabilità penale dei relativi imputati nell’interesse delle parti civili.

A gennaio toccherà alle difese, sostenute dagli avvocati Massimo Mazzanti e Marina Gionchetti per Lenzi e dall’avvocato Carmine Fasano del foro di Milano per Forin.

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