Cronaca
9 Ottobre 2020
La stima del consulente della Procura contenuta in un'integrazione alla relazione dei gennaio: 17 le opere richieste per sistemare le anomalie riscontrate

Per rimettere a norma lo stadio “Mazza” servono 600mila euro

di Daniele Oppo | 4 min

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Seicentomila euro. Cifra tonda che secondo il consulente della Procura servirebbe per rimettere a norma lo stadio “Paolo Mazza” di Ferrara risistemando tutte le anomalie riscontrate nella calda estate del 2019.

Il professor Carlo Pellegrino, che su incarico della pm Barbara Cavallo da più di un anno fa le pulci ai lavori sull’ampliamento dello stadio, ha depositato la relazione integrativa nella quale risponde ai rilievi dei consulenti degli 11 indagati rimasti dopo lo stralcio delle posizioni relative ai lavori sulla Curva Ovest (considerati ok dopo le modifiche richieste inizialmente) e dove individua ancora carenze realizzative a scapito della durata dell’opera e della sua sicurezza. Una relazione che sarà utile alla procura per valutare il da farsi sulle ipotesi di frode nelle forniture nei materiali e false attestazioni nei collaudi iniziali.

Pellegrino individua ben 17 interventi da realizzare sul “Paolo Mazza”, dieci nella Gradinata Nord e i restanti per la Curva Est per “alcune aste o dettagli strutturali (tipicamente i giunti) a valori di sicurezza compatibili con quelli richiesti dalle norme, o per correggere gravi non conformità esecutive. In alcuni casi – si legge nella relazione – gli interventi sono finalizzati a realizzare condizioni di sicurezza certe e condivisibili, evitando il ricorso a risorse di resistenza non del tutto affidabili. In questa fase non si ritiene comunque accettabile un’opera di minor valore e di minori prestazioni rispetto a quelle previste dal progetto“.

Il costo è una stima che sembra dalla doppia interpretazione: per le opere da eseguire o, da diversa prospettiva, per le opere non eseguite come si sarebbe dovuto. Secondo il computo di Pellegrino, che si è avvalso dell’aiuto tecnico del Comune di Ferrara, servirebbero 600mila euro in tutto: 350mila per i lavori, i restanti per i costi di progettazione, quelli amministrativi e per gli oneri vari.

La relazione, come già la consulenza originaria depositata a gennaio di quest’anno (che faceva seguito alla prima, relazione preliminare), è piuttosto severa con il direttore dei lavori e i collaudatori.

“Né nella relazione finale del D.L. (direttore dei lavori, ndr) né nelle relazioni di collaudo si ritrova alcuna annotazione relativa all’accettazione ‘ragionata e giustificata’ di palesi non conformità, quali ad esempio le mancanze dei bulloni, le piastre non a contatto ecc. Le valutazioni sono fatte solo dopo l’inizio delle operazioni peritali – osserva il professore dell’Università di Padova -. Secondo prassi di correttezza, il [direttore dei lavori], avrebbe dovuto documentare e giustificare l’accettabilità di condizioni anomale e il collaudatore avrebbe dovuto ‘condizionare’ l’esito positivo del collaudo alla sistemazione di tali anomalie“. Pellegrino fa esplicito riferimento a “obblighi professionali ed etici” e sostiene che “la presenza di tali anomalie determina minori prestazioni dell’opera, anche se esse risultassero non inferiori ai requisiti minimi”.

Un esempio di anomalie marcate, lo si evince quando Pellegrino, rispondendo ai consulenti di parte, osserva la presenza di piastre non a contatto in Gradinata Nord e nella Curva Est, dove “il contatto fra le flange, se esiste, è ridotto al minimo e in cui, nella parte centrale, non è realizzato l’appoggio a contatto” e questo a fronte di una norma che prevede che il contatto vi sia nella parte centrale,  ammettendo spazi vuoti fino a 4 mm solo sui bordi.

Il dito è puntato su direttore dei lavori e collaudatori anche quando il consulente parla di come in Curva Est e Gradinata Nord “si sono ottenute in fase di collaudo originario deformazioni residue dell’ordine del 30% senza effettuare ulteriori cicli di carico che avrebbero permesso di dimostrare l’eventuale ‘comportamento elastico’ e l’esaurirsi delle deformazioni residue così come indicato chiaramente nella norma”, che  – in estrema sintesi – prevede peraltro che le deformazioni massime non siano superiori al 15% e che successive prove dimostrino che quelle residue tendono a esaurirsi.

“Il direttore dei lavori e i collaudatori avrebbero dovuto pretendere perlomeno lo svolgimento di prove cicli di carico ulteriori”, osserva Pellegrino che ancora nota come “buona parte degli interventi eseguiti dopo le segnalazioni dei sottoscritti (lui e il collega Mario Organte, ndr) non compaiono nel piano di manutenzione“.

Le difese stanno analizzando le carte in questi giorni e attendono che la Procura faccia la propria mossa.

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