Cade l’accusa di spaccio. Rimangono quelle di violenza privata e lesioni nei confronti di un detenuto, aggravate dall’odio razziale.
La Procura ha chiuso le indagini nei confronti di Roberto Tronca, accusato nel 2018 di aver fatto in modo che della droga entrasse all’Arginone, convincendo un detenuto italiano a far versare dai suoi familiari mille euro sul conto di una donna marocchina (con la scusa che servivano per pagare un avvocato) che venne poi arrestata nel febbraio di quell’anno proprio mentre cercava di consegnare al fidanzato una piccola partita di hashish durante una visita in carcere, nonché di aver malmenato proprio quest’ultimo per farsi dire il nome dei fornitori esterno.
L’avviso di chiusura delle indagini notificato nei giorni scorsi a Tronca non fa più riferimento allo spaccio, anche se rimangono le pesanti accuse di violenza e lesioni con l’aggravante di aver agito con odio razziale.
Secondo la posizione sempre sostenuta da Tronca, la sua unica attività è stata quella di darsi da fare per interrompere l’ingresso dello stupefacente all’Arginone dopo che le prime attività d’indagine caddero nel vuoto, anche quelle con l’uso delle unità cinofile. Mentre l’accusa di aver picchiato il detenuto sarebbe solo una vendetta dello stesso per averlo scoperto.
“C’è soddisfazione perché l’attività difensiva ha portata a un avviso conclusione con meno capi d’incolpazione e non è stato contestato quello più infamante e grave per un agente di polizia penitenziaria che ha sempre servito in maniera onorevole e che ha uno stato di servizio impeccabile – commenta l’avvocato Denis Lovison, che difende Tronca -. Dimostreremo ogni estraneità anche alle altre contestazioni, perché un appartenente alle forze dell’ordine se fa qualche cosa in più per estirpare un traffico di droga non deve essere indagato, ma premiato”.
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