Attualità
10 Febbraio 2020
“Fuori dalle Bolle”, il problema dell'ignoranza legato alla comunicazione

Quando non basta raccontare la verità

di Redazione | 3 min

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“Un incontro per discutere di temi che avvelenano il nostro discorso pubblico” si è svolto sabato pomeriggio presso il Consorzio Factory Grisù. “Fuori dalle Bolle” era il titolo proprio ad indicare la necessità e la voglia di voler uscire da un dibattito spesso sordo e miope.

Parlano giornalisti ai giornalisti ma anche artisti, attivisti, professionisti di diversi settori, cittadini desiderosi di comprendere ma anche di dare un apporto a una discussione sentita sempre come più urgente. Ideato e organizzato dalle associazioni The Good Lobby, Cild (Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili) e Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, vuole essere un luogo di confronto oltre che di apprendimento. Non si tratta della classica conferenza ma di un vero e proprio workshop dove i partecipanti in prima persona devono ragionare sull’influenza dell’informazione sulla percezione di problemi.

“Come ti fa sentire la notizia?”, “Cosa ti fa venire in mente la notizia?” sono le prime due domande su cui i partecipanti vengono spinti a ragionare dopo aver visto due brevi servizi televisivi. Da qui ne sorgono altre, “quanto la notizia gioca sui sentimenti?”; “tristezza, speranza, rabbia, angoscia, amarezza, inquietudine, nausea” sono alcune delle cose che escono dai gruppi. I servizi mostrati avevano due tagli completamente diversi anche se si potevano scorgere punti in comune specialmente nel tentativo di giocare sui sentimenti, di creare una narrazione che aiuti a incanalare ciò che si vuole dire. Il ritmo e la scelta delle immagini, la musica, la rapidità ma anche l’associazione di concetti non per forza collegati possono mistificare la notizia e soprattutto possono creare allarme.

Ci si concerta soprattutto su odio e immigrazione, i due servizi visti parlavano proprio di questo, poi si passa ad analizzare alcuni dati a questo connessi con Chiara Ferrari di Ipsos. La coordinatrice delle indagini sociali del noto sito di analisi statistica mostra, in un grafico, come la paura delle migrazioni non abbia una corrispondenza diretta con il numero di arrivi.

Negli ultimi anni il picco di preoccupazione c’è stato durante il governo Conte I quando il numero di arrivi era al minimo storico dopo che il decreto Minniti li aveva bloccati. Anche Marco Binotto si concentra un po’ sui numeri mostrando come ormai si parli di migrazione dai primo anni ‘90 e che “oggi siamo tornati ad avere più emigrati che immigrati”.

La cosa che però più impressiona del discorso di Binotto è che “non basta raccontare i fatti” perché “si accetta come vero quello che già fa parte della mia concezione del mondo”. In sostanza il ricercatore della Sapienza precisa che non si può pensare di combattere la disinformazione solo tramite i dati anche perché, come aveva già spiegato Chiara Ferrari, “il livello d’istruzione nel nostro paese è basso”. Siamo infatti tra i paesi europei con il più basso numero di laureati e, parola oggi molto usata, “vi è un alto tasso di analfabetismo funzionale”.

Per combattere la disinformazione secondo Binotto si deve riuscire a “cambiare la narrazione”, “cambiare la metafora”, non si può pensare di anteporre a “porti chiusi” un “porti aperti”, si devono trovare nuove immagini. Ma soprattutto “si deve trovare un punto di incontro” non si può sempre essere “noi contro loro”, ci devono essere punti di contatto che possono portare a una comprensione.

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