Spettacoli
18 Gennaio 2020
La stagione di prosa del Teatro Comunale di Ferrara ricomincia con due nomi ben noti al grande pubblico: Alessandro Preziosi e Vincent Van Gogh

Van Gogh: una potente fragilità

di Redazione | 4 min

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(foto di Francesca Fago)

di Federica Pezzoli

Il primo appuntamento del 2020 della stagione di prosa del Teatro Comunale di Ferrara è con due nomi più che noti al grande pubblico: l’attore Alessandro Preziosi e il pittore olandese Vincent Van Gogh. Il primo interpreta il secondo in “Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco” (in scena fino a domenica 19 gennaio).

E’ il 1889, nel bianco assordante di una stanza del manicomio Saint Paul prende vita un dialogo serrato tra Van Gogh, il fratello Theo e i medici: prende così forma la vicenda umana dell’artista, ma soprattutto un’indagine che scende nel profondo della sua mente e della sua pittura “che ci parla”.

Il pittore, come afferma Van Gogh, è una soglia: si lascia ‘attraversare’ dai colori e dalla realtà che poi arrivano alla tela. E dunque, grazie alla scrittura di Stefano Massini e all’interpretazione di Alessandro Preziosi guidato dalla regia di Alessandro Maggi, anche “Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco”, è un tentativo di portare il pubblico dentro quella soglia. Lo scarto emotivo che subisce Vincent e da cui è irrimediabilmente dipendente, rappresenta causa ed effetto della sua stessa creazione artistica, non più dissociata dalla singolarità della sua esistenza e lo obbliga a percorrere un sentiero isolato in cui il solo punto fermo resta la plausibilità di un’infinita serie di universi possibili nei quali ogni tangibilità può rappresentare il contrario di ciò che è. “Il filo si è spezzato” e ora vive un caos perenne, un dimenarsi continuo tra realtà e immaginazione, la confusione di chi si trova a dover combattere con sé stesso semplicemente perché non accettato in quel valore immenso che è la propria unicità.

Sospensione, labilità, confine. Sono questi i luoghi, accidentati e mobili, suggeriti dalla traiettoria, indotti dallo scavo. Soggetti interni di difficile identificazione, collocati nel complesso meccanismo dell’organicità della mente umana. Dove finisce la realtà e dove inizia la creatività? E poi la denuncia del manicomio come istituzione totalizzante e la riflessione sul ruolo e il potere, allora come ora, di un artista nella società.

Durante tutta la pièce, nei dialoghi e monologhi di delirio, l’artista non viene tanto compatito, piuttosto compreso, il punto è: non domandiamoci più come abbia fatto un pazzo a realizzare delle opere così, ma piuttosto perché fosse pazzo e cosa significasse per lui dipingere. Massini prova quindi a far uscire il protagonista dal suo autismo attraverso una figura-ponte, il direttore del centro Peyron, desideroso di sperimentare nuove cure per i malati di mente e affascinato dai pittori e in particolare dai dipinti di Van Gogh, dal tormento e dalla bravura che essi trasmettono. L’incontro tra i due è forse la svolta dello spettacolo con un Preziosi ormai stremato – l’attore dall’interpretazione, il personaggio dalla propria condizione – e un Francesco Biscione incalzante e sfacciatamente teatrale. È qui che il pittore apre quel rubinetto emotivo chiuso dalle autorità dell’ospedale e lo fa colorando una tela con le parole e i pensieri, buttando fuori i dolori, le solitudini, la sensazione di inadeguatezza. Finalmente qualcuno ascolta quest’uomo che è stato sempre solo giudicato, qualcuno vuol sentire la sua versione dei fatti, qualcuno vuole curarlo e non attaccarlo. Ed è proprio in quell’ascolto vero e reale che Vincent sembra rivelarsi, aprirsi.

Il tutto è reso ancora più suggestivo dalle luci curate da Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta, che assecondano il contrasto reale/irreale giocando tra chiaro e scuro con efficaci proiezioni di ombre, e dalla scenografia curata da Marta Crisolini Malatesta, che riproduce sulle pareti la pennellata materica tipica del pittore olandese e il quadro “Campo di grano con volo di corvi”, ma in bianco. Il bianco non come la somma dei colori, ma come il vuoto, l’assenza di colore, si riveste di un messaggio drammaturgico immediato: la difficoltà di un pittore, di un uomo immerso nella vita dei colori, di essere rinchiuso in uno spazio asettico quasi accecante tanto è vuoto di colori e di umanità, viene restituita con immensa carica espressiva. Il luogo si trasforma così in uno stato della mente, un posto lontano dalla vita e conferisce alla malattia mentale di Van Gogh tutta la sua drammaticità.

Tramite la regia scarna e intensa di Maggi e l’interpretazione follemente lucida di Alessandro Preziosi, viene restituito al pubblico un Vincent Van Gogh inedito, che il testo di Massini rispetta talmente tanto come uomo e come artista da volerlo raccontare nel migliore dei modi possibili, dando voce e corpo a quel valore incredibile che è la diversità. Da vedere, odorare, ascoltare.

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