Attualità
13 Ottobre 2019
A distanza di un anno e mezzo la moglie racconta cosa successe prima del decesso

Le ultime 48 ore senza sorriso del Dr. Pepita

di Redazione | 3 min

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Se ne era andato in silenzio l’8 marzo del 2018. Un silenzio che contrastava forte con il rumore delle risate che sapeva regalare a chi ne aveva bisogno. La città in lutto l’aveva accompagnato, ricordando il suo impegno in favore dei più piccoli e indifesi. Di lui Franco Borghetti alias Dr. Pepita si sapeva tutto.

Quello che non si sapeva, la parte più triste della storia, la racconta a un anno e mezzo di distanza sua moglie, Maria Lina Muzzati.

Franco Borghetti, l’ambasciatore di Darnic Clown, era sempre presente nelle corsie dell’ospedale del pronto soccorso, della pediatria dell’onco-ematologia, era una figura emblematica per la nostra società e soprattutto per il mondo legato ai bambini.

Lui, ex impiegato dell’Enel, una volta raggiunta la pensione si era dedicato a ciò che più amava fare, lavorare con i più piccoli. Assieme all’associazione Dharmic Clown era impegnato dal 2005 nella missione di portare l’allegria a chi si trova in situazioni di disagio fisico e mentale. Lavorando nelle strutture ospedaliere e con le scuole di Ferrara l’intento era quello di mandare, attraverso delle storie animate, un messaggio positivo, le parole che i bambini hanno bisogno di sentire per essere educati sull’essenza dei cinque valori umani di verità, retta azione, pace, amore e non violenza.

Anche pensando a quegli anni di impegno e dedizione, oggi la moglie chiede di “dare evidenza ad un fatto che mi sta molto a cuore e che solo ora ho deciso di raccontare”. Al Dr. Pepita “hanno dedicato concerti, uno è in programma il prossimo novembre, raccolte fondi, intitolato aule e biblioteche dentro le scuole. Il Dottor Pepita sapeva far parlare e ridere i bambini, anche i più tristi, ricoverati in ospedale; improvvisava sceneggiate nelle classi catturando l’attenzione di grandi e piccini. Con il gruppo dei Darnic Clown e la clown terapia ha regalato tanto. La sua espressione era l’amore. Il suo amore ha contagiato e continua a farlo”.

Quel contagio durò fino al 15 febbraio del 2017, quando Borghetti venne travolto da un’auto mentre tornava a casa in bicicletta. Rianimazione, interventi chirurgici, medicina riabilitativa al San Giorgio per un trauma cranioencefalico che lo aveva lasciato in coma vegetativo.

“Il 5 marzo 2018 Pepita veniva dimesso da San Giorgio – ricorda la moglie -, dopo 12 mesi di assistenza intensa e di altissimo livello, e trasferito in un ospedale privato in centro città, con letti convenzionati con la Regione (che definisce anche gli standard assistenziali e qualitativi da assicurare, pena la decadenza della convenzione), per pazienti in stato di coma vegetativo stabilizzato”.

Maria Lina Muzzati fa presente che “alla nuova sistemazione, come da prescrizioni riportate nella lettera di dimissione del San Giorgio, era richiesta assistenza alla respirazione, alla alimentazione e altro ancora; riabilitazione di base e movimentazione per evitare decubiti severi (Pepita non stava a letto tutto il giorno, disponeva di una propria seggetta dedicata) ecc. Ovviamente io, come sempre, lo avrei assistito in ciò per cui ero stata addestrata”.

Ma “di tutto ciò, nelle 48 ore trascorse lì nemmeno l’ombra, nonostante le mie pressanti richieste. 48 ore in cui Franco ha resistito. Dopo quelle 48 ore senza assistenza se ne è andato di notte senza che nessuno se ne accorgesse, se non ore dopo, al momento del giro canonico dell’infermiere di turno”.

“Ho scritto queste righe solo ora – conclude – perché solo ora ho trovato il coraggio e la pacatezza per farlo. Chiedo fermamente che Regione, Ospedale, Ausl vigilino sulla assistenza che viene data a chi occupa i posti “convenzionati” per pazienti in coma vigile. Posti altamente retribuiti, ma altrettanto carenti di tutto”.

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