Dalla toga all’ago, Sara Bertelli dà il via alla sua ‘sartoria sovversiva’
A breve l’inaugurazione della nuova attività a Factory Grisù. L’ex avvocato ferrarese ci racconta la genesi del suo percorso
di Cecilia Gallotta
Dalla toga, all’ago. Dopo 15 anni da avvocato, la ferrarese Sara Bertelli cambia completamente rotta: metro al collo e forbici alla mano, darà vita alla sua personalissima ‘sartoria sovversiva’, che presto alzerà il sipario presso gli spazi di Factory Grisù.
Quando aprirà, e di cosa si tratta esattamente? Come mai ‘sovversiva’?
L’idea è quella di fare delle mini collezioni personalizzate, per taglia e per tessuto. Realizzerò sicuramente il ‘su misura’, perché voglio dire no all’omologazione, al fatto che si debba essere sempre tutti uguali. Inoltre mi piacerebbe organizzare corsi, workshop ed eventi sul mondo della moda che voglio esprimere, quello legato ad un consumo consapevole. Adesso la sto allestendo, e spero di riuscire a fare l’inaugurazione entro febbraio.
Cosa ti ha mosso a lasciare un lavoro come quello che avevi, e darti a questa nuova attività?
Ho capito che non era la mia strada. Ho intrapreso il percorso da avvocato perché è stato un po’ indotto, non dico che ho fatto quello che gli altri si aspettavano da me, ma quasi. E l’ho fatto anche abbastanza in fretta, sono stata nei tempi della laurea e avevo uno studio mio. Ma poi mi sono accorta che ero insofferente al tipo di vita che portava quel lavoro, ho sempre avuto un’indole più creativa, e più armoniosa.
In questo periodo storico di crisi lavorativa, molti direbbero che è stata una scelta coraggiosa.
Sicuramente. Ma quando non si ama quello che si fa, dopo un po’ arrivare a fine giornata diventa difficile. Ero arrivata al punto che prima di un’udienza non riuscivo a dormire. Poi devo sfatare il mito della libera professione. Ai tempi in cui mi sono laureata sì, essere avvocato era uno status a cui tendere, ma adesso c’è una bella crisi anche lì. La mia crisi, però, è stata personale.
Come è nata l’idea della sartoria, e quando? C’è stato un episodio scatenante?
Sì, c’è stato un momento che cercavo disperatamente una gonna a ruota, e non c’era verso di trovarla perché non andava più di moda. Così mi sono detta: ‘E se me la facessi?’ Poi mi sono iscritta a una scuola professionale, la Vitali, dove a Ferrara ci vengono da tutta Italia. Ho preso il diploma nell’autunno del 2016 e nel 2017 ho iniziato a lavorare a questa idea della sartoria, senza però avere ancora uno spazio fisico: lavoravo un po’da casa, e un po’ facevo eventi e mercatini, sfruttando la normativa dell’esercizio dell’arte e dell’ingegno, un po’ come hobby.
Come mai hai deciso di aprire presso gli spazi di Factory Grisù? Come si è presentata l’occasione?
Sono sempre stata molto attratta dal discorso del recupero, anche architettonico. Sono andata all’open day, dove c’era il presidente del Consorzio, Massimo Marchetto. Ma il bando di assegnazione tardava ad uscire e per un momento ho anche pensato di accantonare l’idea. Poi, questo settembre è uscito, ho partecipato e l’ho vinto. Questo spazio nasce da una concezione che rispecchia esattamente quella della sartoria che vi vorrei portare all’interno.