Politica
8 Gennaio 2019
Tagliani contro chi "dà le amministrative per perse", Franceschini apre a Berlusconi: "Qui si va oltre, serve discontinuità"

Il Pd ferrarese attorno a Zingaretti per “scuotersi dalla rassegnazione”

di Redazione | 5 min

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Il Pd ferrarese che si avvia verso la fase congressuale a supporto della mozione Zingaretti riempie la sala del suo circolo di via Bologna quando si riunisce, lunedì sera, per dare il via alla discussione sul documento. Per i dem, la serata si trasforma ancora, e inevitabilmente, nell’ultimo tassello di una fase di ricerca interiore.

A presentarsi, a un certo punto, sono in quasi una settantina tra establishment e nuovi iscritti che temono per la tenuta democratica del Paese, tra pura militanza e gli ‘alti papaveri’ come i parlamentari Dario Franceschini Paola Boldrini, la consigliera regionale Marcella Zappaterra e l’ex consigliere Roberto Montanari, il sindaco Tiziano Tagliani e il suo vice Massimo Maisto oltre a diversi amministratori dai territori.

Tutti presenti e coinvolti anche perché il governatore del Lazio è il candidato in pole position per ottenere la segreteria, che il partito non vede di cattivo occhio in quanto reduce da una vittoria elettorale e che garantisce una certa discontinuità perché non coinvolto almeno direttamente nella gestione Renzi — l’elefante nella stanza che riceve reazioni variegate quando viene raramente citato anche indirettamente —, e perché il carisma di Martina e la sua forza vengono giudicate insufficienti. La serata, tra l’altro, arriva poche ore dopo l’inaugurazione del comitato elettorale di Zingaretti a Roma e al lancio contestuale di un duo di piattaforme d’ascolto nel mondo reale e online, rispettivamente PiazzaGrande e PiazzaWeb Social.

Il primo a parlare è Tagliani, appena dopo l’annuncio che per arrivare al congresso del 3 marzo i delegati provinciali andranno eletti entro il 23 gennaio. “Stiamo vivendo un momento difficile”, premette, “in un partito che non funziona” e forse anche “preludio a una spaccatura”. Ammonisce contro “le amministrative che qualcuno ha già dato per perse“, anche perché “scomparire dalle città è l’ultimo passo prima di sfondare nella totale irrilevanza”.

Sul perché ha scelto di sostenere Zingaretti il dado è presto tratto: “Non siamo abituati agli slogan”, innanzitutto, “e abbiamo bisogno di empatia“. “Dobbiamo ricostruire un partito, non una ‘cosa’ che sta sui social, ritornare a fare cose che il Pd non è più abituato a fare, entrare in relazione con chi non ci ascolta più e ritornare a discutere, perché di alcuni temi non parliamo più per evitare discussioni”, conclude facendo poi notare che “non vedevo una sala così piena da anni, ed è un bel segno“.

Per Paola Boldrini invece “è importante tenere in piedi una linea, e in questo periodo è stato difficile tenerne una” visto il propagarsi di posizionamenti e scontri, e quindi “le persone hanno bisogno di qualcuno che unisca per uscire dal guscio”. “Qualcosa è andato storto“, nella linea dei democratici, ma “correggere gli errori è il segno di maturità di un partito. Dobbiamo smetterla di avere nemici al nostro interno, dobbiamo avere tutti gli stessi obiettivi” per un Pd “che possa coalizzare più persone possibile e acquisire anche chi non ha più creduto in noi”.

L’analisi più acuta la fa l’ex ministro della cultura Franceschini. Per lui la prima cosa da fare è “scuotersi dalla rassegnazione, perché la destra ha alzato talmente tanto l’asticella delle aspettative che arriverà l’ondata della delusione, anche sul decreto sicurezza”, anche se “non c’è scritto da nessuna parte che gli elettori tornino da noi, possono polarizzarsi ancora di più e per questo dobbiamo tornare a essere attrattivi ripartendo con convinzione”.

Abbiamo fatto gravi errori“, continua, “interpretando il risultato del referendum con una vittoria perché avevamo ancora il 40% e dopo il 4 marzo abbiamo dato la colpa agli elettori per poi metterci con i pop-corn a dire ‘vediamo cosa fate voi'”. Seguono due ragionamenti abbastanza sorprendenti: “In politica esiste anche il contenimento del danno”, dice mostrando la sua insoddisfazione per aver spinto all’unione “due forze avversarie, ovvero la destra reazionaria della Lega e i 5 Stelle che sono tutto e il contrario di tutto”, e poi “con tutta la mobilitazione che c’era contro Berlusconi, dal conflitto d’interesse al trattamento delle donne, qui si va molto oltre: non c’era mai stato il razzismo, non c’era mai stato l’antieuropeismo. Qui siamo all’uso dell’Italia per scardinare l’Europa“.

Per ripartire quindi servono “obiettivi precisi”, che vanno dal “guidare una capacità reattiva che ora non c’è: dobbiamo contrastare e non inseguire”, e per farlo serve unire “mentre negli ultimi tempi siamo diventati quelli che hanno diviso tutto”. “Zingaretti – conclude – dà le garanzie di discontinuità e ricomposizione del campo delle sinistra, non c’era prima e dà un messaggio rassicurante al Paese anche se il percorso è molto duro perché 5 Stelle e Lega mescolano molto bene rabbia e paura in un mix micidiale”.

L’umore prevalente è comunque quello dell’ottimismo, ed è giustificato non solo dalla sala piena: l’esistenza stessa di un partito come il Pd — con tutte le anime e le sensibilità che racchiude — a quasi 12 anni dalla sua fondazione, e sulla soglia del 17% dei consensi nel momento peggiore della sua storia con il vento politico contrario, non è un risultato da sottovalutare.

L’ultimo intervento di rilievo è quello di Marcella Zappaterra, che si presenta da ex sostenitrice di Minniti: “Avevo fatto quella scelta per la competenza, sull’immigrazione ad esempio non c’erano retorica e buonismo ma si restava umani”, dice mentre aspira “ad una sinistra più moderna, meno ideologica e meno aristocratica”. “Martina”, conclude, “l’abbiamo già visto all’opera mentre su Zingaretti si può essere il più aperti possibile”. La sala piena, comunque, “è incoraggiante, ma non basta a vincere il congresso”.

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