Spal
16 Dicembre 2018
Intervista al capitano dei gialloblu in vista del match di domani allo stadio Mazza

L’ex spallino Pellissier: “Ho lasciato il cuore a Ferrara, ma con il Chievo cercherò i tre punti”

di Redazione | 11 min

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di Arnaldo Ninfali

Incontro Sergio Pellissier alle 8 e 30 del mattino in un bar del Ceo, come si dice da queste parti. Ha appena accompagnato i bambini a scuola e, come suo solito, vi si intrattiene per fare colazione. Lo trovo seduto a un tavolo e, come mi vede, mi viene incontro porgendomi la mano. Gliela stringo chiedendogli come stia e accennando anche a quel paio di calcioni che ieri si è beccato sul terreno del Tardini e che, visti in televisione, sembravano averlo ammaccato parecchio. Risponde con un cenno rassicurante, quasi non se ne ricordasse più. Noto che la sala è abbastanza tranquilla, così mi compiaccio di poter fare quattro chiacchiere con lui senza disturbi di sottofondo. Gli chiedo se si sia già gettato sui giornali sportivi che vedo posati qua e là sui tavoli e lui mi dice che non li legge più dal tempo della Spal, cioè da quando, il giorno dopo uno Spal-Carrarese in cui i biancazzurri avevano dominato la partita, i giornali espressero dei voti bugiardi che lo indignarono. Così ora ritiene che certi giornalisti non meritino più la sua attenzione.

Nel frattempo ci accomodiamo, ci facciamo portare un caffè e Sergio si lascia volentieri sottoporre a un terzo grado che assomiglia più a una piacevole conversazione tra amici.

Sergio, sbaglio a pensare che, per te, la prossima partita di campionato non sarà come le altre?

No, non sbagli. Sarà una partita emozionante, perché ho lasciato il cuore a Ferrara. Tant’è vero che sono contentissimo che la Spal sia riuscita a tornare in A, dimostrando di potervi rimanere stabilmente. Però io gioco per il Chievo, che ha bisogno di punti. La partita sarà per noi importantissima, non dico decisiva, perché il campionato è ancora lungo, ma dobbiamo cercare di portare via i tre punti.

Sappiamo che tuo suocero è un tifoso spallino. Ti ha già detto di fare giudizio domenica?

No, non me l’ha detto, però lui già ieri ha visto la partita con una certa tensione. Lui ama quella squadra, come del resto mia moglie, ed io stesso. E’ normale che lui sia affezionato alla squadra della sua città. Adesso si trova un po’ in imbarazzo, perché non sa per chi tifare e così spera in un pareggio. Io invece devo sperare di riuscire finalmente a vincere perché, come dicevo, abbiamo bisogno dei tre punti come l’aria che respiriamo.

Torni a giocare al Mazza con un bottino di 110 gol in serie A. Davvero bellissimo l’ultimo, in casa contro la Lazio; e toccante l’abbraccio che poi hai condiviso con tuo figlio. Pensi che un giorno calcherà le orme paterne?

Devo dire che non lo so. Non so cosa gli riservi il futuro. Io mi auguro solo che faccia la cosa che gli piace di più. Io ho fatto ciò che fin da piccolo avevo desiderato fare e, se anche lui avrà lo stesso desiderio, allora potrà tentare questa strada. Deve però sapere che, per arrivare a giocare in serie A, dovrà impegnarsi tanto, perché nessuno ti regala niente. Se poi sei figlio d’arte, tutti si aspetteranno che tu sia ancora più forte di tuo padre. Deve pertanto avere un cuore e una testa che premano nella stessa direzione con la massima intensità.

Bene. Veniamo allora all’incandescente match di domenica prossima. La squadra la percepisci carica a sufficienza per fare bottino pieno?

Ma noi siamo carichi, soprattutto da quando è arrivato Di Carlo. Stiamo lottando su ogni santa partita per conquistare i tre punti, perché è così che bisogna fare. Noi adesso dobbiamo giocare solo per vincere. Non puoi andare a giocare contro una tua diretta concorrente per la salvezza puntando al pareggio. Devi puntare ai tre punti con la massima determinazione, poi nel calcio, si sa, quello che arriva arriva.

Il punto strappato ieri al Parma vi ha impresso fiducia per il futuro o delusione per due punti lasciati?

Ci dispiace per i due punti lasciati, perché ancora una volta eravamo riusciti a passare in vantaggio e solamente per una strepitosa punizione all’incrocio dei pali ci siamo dovuti accontentare del pareggio. Una punizione che forse potevamo fare a meno di provocare. Ma sappiamo che il calcio è questo. Noi abbiamo lottato fino alla fine, anche quando siamo rimasti in dieci, e questo vuol dire che la squadra c’è, come la voglia di portare a casa punti. Questo penso sia l’aspetto più importante.

E’ opinione di molti che il Chievo non meriti l’attuale posizione di classifica. Secondo te, come mai alle buone prestazioni sin qui mostrate non corrisponde una classifica meno penalizzante?

Perché prima non giocavamo col cuore, non eravamo un gruppo unito. Se si sbagliava, nessuno che recuperasse per l’altro. Adesso, nelle ultime quattro partite, lo siamo stati. Se giochi così, puoi sperare di salvarti; come all’inizio, no. Noi adesso sentiamo di essere sulla via giusta. Il percorso è ancora lunghissimo, però la voglia e la determinazione ci sono: questo ti ripaga dei sacrifici che fai.

Hai giocato l’ultima partita in maglia spallina il 5 maggio 2002, al Mazza contro l’Arezzo, e segnando anche un gol. Cosa pensi di provare a tornarvi, dopo sedici anni, da avversario?

A dire il vero ci sono già tornato, anche se ero in panchina. Sarà una novità per me trovarmi in uno stadio gremito, perché quando ero in serie C non era così, non c’era quell’ambiente strepitoso di adesso. Penso che ora sia veramente difficile giocarci perché il pubblico è davvero il dodicesimo uomo in campo. E’ bello, è bello: ho sempre amato il tifo della Spal perché è caloroso. Quando ti dà, ti dà veramente tutto quello che ha. Per questo è difficile giocarci contro. L’emozione sarà tantissima e, malgrado abbia tantissime partite in serie A, quella la sentirò parecchio perché lì, in quello stadio, in quella città, c’è una parte della mia vita che per me ha significato tanto.

Sono passati tanti anni da allora e tu sei diventato la bandiera del Chievo, il Capitano più rappresentativo della sua storia. Tu come vivi questo riconoscimento così meritato?

Io ho sempre avuto bisogno di stimoli e responsabilità per dare il meglio di me. Qui me le hanno date e, per questo, ho avuto sempre più voglia di dimostrare che non si sbagliavano. E quando mi hanno messo in disparte, l’ho sentito come una bocciatura che mi ha fatto star male: ma non per una questione di amor proprio, ma per non poter più dare il mio contributo. Quindi si può dire che, più mi investono di responsabilità, più io rendo. Il fatto dunque di essere diventato una bandiera, come dici tu, mi ha solo stimolato a migliorarmi, o a crescere come giocatore e come uomo.

Anche quest’anno il tuo ruolo di leader indiscusso sembra dare i suoi frutti. Infatti, da quando sei tornato titolare, la squadra ha ottenuto ottimi risultati contro avversari blasonati come Napoli e Lazio, e quattro pareggi nelle ultime quattro partite. Prima invece il rendimento è stato un po’ altalenante. Non è che, con te in campo, la squadra acquisti più sicurezza e fiducia nei propri mezzi?

Io sono decisamente più abituato di questi ragazzi – i miei compagni più giovani dico -, a giocare ad alti livelli. Io ci sono già passato alla fase che stanno vivendo loro e so come uscire dalle difficoltà. E l’unico modo è lottare su tutti i palloni, dare tutto quello che si ha e giocare per i compagni, per il gruppo, per la Società e per i tifosi. Alla fine, avere qualcuno in campo che ti dia l’esempio di cosa devi fare ti può sicuramente aiutare. Ti dà sicurezza il fatto che ci sia qualcuno che ci mette la faccia quando le cose vanno male e ti aiuta a recuperare serenità.

Quest’anno avete cambiato tre allenatori. Dall’esperienza che ne hai, pensi che sia di giovamento a una squadra in difficoltà il cambio di allenatore?

Può servire. Può servire, se l’allenatore di prima non ti dava l’aiuto necessario a far bene. Il nostro primo allenatore forse non era ancora pronto per la serie A, mentre il secondo non aveva voglia di rimanere con noi. In altre parole, prima uno che crede in te, ma non è ancora esperto sui ruoli adatti a ciascun giocatore; poi uno che non si fida di te, tant’è vero che decide di abbandonarti proprio nel momento del bisogno. Il terzo, invece, Di Carlo, crede in te e sa anche come gestire il gruppo. Di Carlo è tutt’uno con la squadra, rema nella stessa direzione e infonde coraggio e fiducia. I giocatori si accorgono di questo atteggiamento e danno il massimo.

A me pare che oggi gli allenatori tendano a mettere da parte prematuramente i giocatori di lungo corso, come se la loro condizione fisica non desse più garanzie. Ma basta vedere il tuo exploit in occasione del gol contro la Lazio – una corsa in progressione dalla tua trequarti campo culminata col prezioso l’assist di Birsa -, per smentire quest’idea. Se sei così in forma, come mai se n’è accorto solo Di Carlo, e io aggiungo “finalmente”?

Non è che gli altri non se ne accorgessero. Il loro problema era che volevano ringiovanire la rosa. Di Carlo invece si fida di me, mi conosce da tanto, sa cosa posso dare, sa che a volte conta di più l’esperienza, il carattere di una persona, piuttosto che l’età. Lui ha creduto in me e questo mi riempie di orgoglio. La prima cosa che mi ha detto, al suo arrivo, è stata: “Tu non devi dimostrare niente a me”; mentre con gli altri allenatori io dovevo sempre dimostrare chi ero e che non ero vecchio, allenamento dopo allenamento. Invece Di Carlo sa cosa ancora posso dare al Chievo e cosa può chiedermi. Direi che questo clima per un giocatore è stimolante. Ma come? Quattrocentocinquanta presenze in serie A, centodieci gol fatti, più di seicento presenze in carriera, non sono sufficienti a dimostrare di essere Sergio Pellissier? Non so quanti mi chiedano perché prima di Di Carlo non giocassi e se fossi in forma precaria. Io rispondo che sono sempre stato quello che sono ora, solo che gli allenatori di prima ritenevano di non farmi giocare, e basta. Ritenevano che la mia età fosse un limite. Non si rendevano conto che l’età non conta niente se, quando entri in campo, ci metti grinta e determinazione. Senza contare che, a volte, per trasformare una partita, basta un tempo, un quarto d’ora, dieci minuti. Invece no, neanche quelli. Tra i campioni del passato mi ricordo di Altafini, che giocò fino a quaranta anni ad altissimi livelli senza creare nessun disagio negli allenatori. Ricordo che quando commentava a SkY dimostrava di essere uno dei pochi a capire il mio gioco fino in fondo. Capiva i movimenti che facevo e, quando rifilai quella famosa tripletta alla Juve, ne fece un’analisi così pertinente che dimostrò quanto la sua lunga carriera gli abbia giovato dal punto di vista della conoscenza tecnica. E quei commenti, espressi da un campione del suo calibro, mi hanno aiutato moltissimo a migliorarmi sempre più.

Allora domenica tornerai al Mazza. Che Spal ti aspetti di trovarvi, e come preparerete la partita in settimana?

Indubbiamente agguerrita e vogliosa di fare i tre punti, sospinta dai suoi meravigliosi tifosi che la seguono sempre con entusiasmo. Noi la partita la prepareremo come al solito, come prepariamo tutte le altre e, soprattutto, sapendo che il nostro solo e unico obbiettivo sono i tre punti.

Ma come agisce, a livello psicologico, l’imperativo della vittoria a tutti i costi?

Guarda, tutti ci danno per spacciati, ma io ho imparato, in ventidue anni di carriera, che nel calcio non c’è niente di scritto. Ho raggiunto salvezze che hanno fatto storia per il sapore di miracolo che avevano, mentre sono retrocesso quando altre squadre avevano quindici punti di penalizzazione. Per questo guardo avanti e mi sento ancora più determinato verso l’obbiettivo da raggiungere, sicuro che ci toglieremo ancora tante soddisfazioni. Poi le cose andranno come andranno, ma noi lotteremo sicuramente sino alla fine.

Ho visto su Sky la conversazione che, dopo il gol alla Lazio, hai intrattenuto con tuo figlio e mi è piaciuto molto l’ammonimento a non mollare mai che gli hai rivolto. Possiamo dunque dire che il calcio può essere anche educativo?

Il calcio è sicuramente educativo, sia quando ti riserva soddisfazioni, sia quando ti riserva amarezze. E’ vero che i ragazzi, in genere, guardano ai top player, a quelli che emergono nelle partite come simboli del successo e della gloria. Ma ci sono anche gli sconfitti, il cui esempio ti fa capire che non è così facile giocare a calcio e che solo pochi si imporranno ad alti livelli. E qui i genitori, i maestri, dovranno intervenire per far presente ai ragazzi che non vale la pena smettere di studiare per confidare in una futura carriera calcistica, perché non tutti potranno diventare dei Ronaldo. E se anche si possiedono delle doti, bisogna sapere che bisogna affrontare ostacoli di ogni genere: dal competere coi raccomandati alle antipatie dei giornalisti, dalle decisioni degli allenatori – vedi il mio ex compagno Corini che, divenuto allenatore, sei anni fa decise di mettermi da parte – ai voti del lunedì sui giornali. Si possono presentare, nella carriera di un calciatore, delle situazioni che ti possono costringere a cominciare daccapo, come è successo a me, appunto dopo quella esclusione. Per questo il calcio ti costringe proprio a non mollare mai e diviene davvero scuola di vita.

In conclusione, cosa ti senti dire, prima del match di domenica, ai tifosi spallini, che ancora ti vogliono bene, e a quelli del Chievo, che ti adorano?

Vorrei dire che domenica giocheremo al Mazza una partita di calcio, nella quale ci contenderemo tre punti importanti per la salvezza finale e, giocoforza, saremo rivali. Ma fuori dal campo restano dei legami affettivi che non si scioglieranno mai. Spesso mi chiedono se esulterò o meno in occasione di un eventuale gol. Io rispondo di sì, perché l’affetto che io provo per i tifosi della Spal o per quella Società rimane a prescindere. Ma il fatto è che io gioco nel Chievo, che mi ha dato tanto e a cui devo tanto, e mi sembrerebbe irrispettoso verso i miei tifosi non dimostrare gioia per il successo ottenuto. Quindi direi: un abbraccio a tutti.

Grazie Capitano, e un sincero in bocca al lupo.

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