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2 Dicembre 2018

Batterio Chimera, rischi e allarmismi

di Redazione | 3 min

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In Veneto ed Emilia Romagna si è parlato molto in questi giorni del Mycobacterium Chimaera, responsabile di alcuni decessi tra pazienti che erano stati sottoposti anni prima ad interventi chirurgici. Ma qual è la reale dimensione del problema? Chi è veramente a rischio? Quali i sintomi a cui prestare attenzione?

Il Chimera è un battere largamente presente in natura, specialmente nell’acqua potabile. Identificato per la prima volta nel 2004, è stato considerato per anni assolutamente innocuo per l’uomo, anche se dal 2014 la sua posizione ha cominciato a cambiare: è questo infatti l’anno della prima identificazione in Europa di un caso di infezione invasiva.
Da quel momento sono stati riscontrati diversi casi, tutti associati all’utilizzo di dispositivi di raffreddamento/riscaldamento necessari a regolare la temperatura del sangue in circolazione extra-corporea durante interventi cardiochirurgici.

Ad esempio in Svizzera sono state diagnosticate infezioni in sei pazienti operati a Zurigo tra il 2008 e il 2012 e in quattro pazienti operati a Basilea tra il 2013 e il 2014. Sono stati segnalati casi anche in altri paesi, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Paesi Bassi, a distanza di mesi o addirittura anni da un intervento chirurgico a cuore aperto.

L’Italia sembrava esclusa dall’emergenza di queste nuove infezioni, ora purtroppo sappiamo non è così.

E’ importante innanzitutto sottolineare come l’infezione non si trasmetta da persona a persona. Il rischio è infatti limitato a chi ha subito operazioni come la sostituzione delle valvole cardiache o un trapianto di cuore/polmoni e sia stato collegato ad una macchina cuore-polmoni.

Se un paziente è stato sottoposto a questo tipo di interventi, è bene sappia che l’infezione si sviluppa molto raramente: la possibilità di contrarre la malattia è di circa 1 su 10000 pazienti operati. Complessivamente sono stati segnalati solo 100 casi a livello mondiale, anche se con una letalità elevata (del 50%).  Inoltre, da quando il battere è stato riconosciuto come potenziale patogeno, le aziende che producono i macchinari ritenuti responsabili della diffusione del battere hanno adottato misure mirate per prevenire la contaminazione.

Come già detto, i sintomi compaiono molto tempo dopo l’intervento chirurgico e si manifestano sotto forma di febbre prolungata o inspiegata (di origine sconosciuta), sudorazione notturna, dolori muscolari, perdita di peso o notevole affaticamento. In caso d’insorgenza di questi sintomi, è necessario che i pazienti che hanno subito un’operazione chirurgica a cuore aperto consultino un medico. I casi dovranno essere poi confermati da indagini di laboratorio specifiche. Il periodo di incubazione ha una mediana di 17 mesi (range 3-72 mesi), condizione che ha reso complessa l’identificazione di una comune fonte di esposizione tra i casi.

In Emilia-Romagna attualmente vi sono stati solo due decessi accertati avvenuti a seguito di operazioni al Salus Hospital di Reggio Emilia. Per altri due casi sospetti sono in corso verifiche, mentre per un centinaio di cartelle l’indagine deve ancora partire. Si tratta quindi di eventi molto rari che fanno pensare che tutto sia legato a un lotto particolare di macchinari prodotti dalla stessa azienda. La Regione sta preparando un’informativa che invierà a tutti i pazienti operati nelle cardiochirurgie che hanno richiesto l’utilizzo della macchina cuore-polmone. E’ stata inoltre richiesta la sostituzione dei macchinari potenzialmente a rischio o un loro adeguamento.

In sintesi, la dimensione del problema è particolarmente limitata ed occorre un po’ di attenzione solo se si è stati sottoposti a specifiche tipologie di intervento chirurgico. Per chi dovrà essere operato in futuro i rischi sono invece praticamente azzerati dalle strategie preventive già messe in atto.

Dott. Michele Franchi, medico specialista in igiene, medicina preventiva e sanità pubblica

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