Cento
21 Novembre 2018
Sentito il medico del lavoro nel difficile processo che vede alla sbarra l'ex patron della Baltur Giovanni Fava per la morte da mesotelioma dell'operaio Giampalo Brugioni

Morte da amianto. La difficile prova sull’esposizione fatale

di Daniele Oppo | 3 min

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Giampaolo Brugioni fu sicuramente esposto all’amianto nei 14 anni in cui lavorò alla Baltur, ma che quell’esposizione sia stata determinante per causare il mesotelioma pleurico che lo ha ucciso è meno pacifico, perché l’operaio lavorò in precedenza per altre due aziende che maneggiavano l’amianto.

È qua che si combatte la battaglia giudiziaria della famiglia dell’operaio – e chiaramente anche della procura, il fascicolo è oggi mano alla pm Isabella Cavallari – nei confronti di Giovanni Fava, legale rappresentante della Baltur in quel periodo, oggi a processo per omicidio colposo.

Se da un lato, infatti, l’avvocato Daniela Boscolo, che rappresenta la famiglia di Brugioni, costituitasi parte civile, sostiene che non sia così rilevante quel passato, “perché è opinione scientifica consolidata che rilevi non solo il primo contatto ma anche quelli successivi e continuativi come fattore che incrementa e accelera la portata della malattia”, dall’altra, l’avvocato Marco Martines della difesa sostiene l’esatto opposto, ovvero che conti quando si forma e nasce il tumore e in ogni caso, “sosteniamo che durante il periodo in cui Fava era legale rappresentante non si è verificata un’esposizione rilevante”.

Martedì mattina davanti al giudice Alessandra Lepore sono stati sentiti due testimoni: un ex collega di Brugioni – che, in sintesi, ha fatto intendere che l’operaio non fu così esposto alle polveri – e il medico del lavoro Maria Rosa Spagnolo, referente provinciale del registro mesoteliomi, che fece partire la segnalazione del caso Brugioni (che scoprì il tumore nel 2011), dopo aver ricevuto a sua volta una segnalazione da un patronato.

Secondo la ricostruzione della vita lavorativa fatta dalla medicina legale – sulla base di un questionario sottoposto a Brugioni e di un’attività d’indagine, per quanto limitata – l’operaio lavorò dal 1976 al 1977 alla Soimi poi passò alla Riva Mariani, azienda nota anche nel Polo chimico di Ferrara per le opera coibentazione e decoibentazione degli ambienti e per le opere di bonifica dell’amianto. Ma Brugioni dichiarò che in questa fase si occupò solo di coibentazione manovrando lane d’acciaio e di vetro, non amianto. Poi lavorò alla Baltur dal 1978 al 1994 occupandosi di assemblaggio e montaggio dei bruciatori nelle caldaie, manipolando delle guarnizioni in amianto, oltre che dei guanti in amianto nelle fasi di test dei bruciatori. Una ditta contata dalla medicina del lavoro ha confermato la fornitura di guarnizioni in amianto, poi sostituite con altro materiale con il divieto legislativo introdotto nel 1994. In definitiva, per il medico del lavoro, è “confermato il nesso di causalità tra esposizione del lavoratore all’amianto e la malattia” e “non avevamo dubbi sui contatti del lavoratore con l’amianto per un lungo periodo”.

Dubbi invece vengono dalla difesa di Fava che rileva come in altre occasioni Brugioni abbia asserito che alla Baltur c’era un sistema di aspirazione della polvere sul luogo di lavoro – mentre alla medicina del lavoro disse che la polvere veniva soffiata con l’aria compressa – rilevando risposte opposte anche sull’esposizione all’amianto nei lavori precedenti (cosa che, va detto, la parte civile non mette in dubbio). C’è poi un altro fattore: non c’è uno storico di mesoteliomi legati alla Baltur – Brugioni sarebbe il primo -, mentre c’è un caso registrato legato proprio alla Riva Mariani.

Qualche punto interrogativo, anche dal punto di vista scientifico, potrà essere sciolto nella prossima udienza, programmata per il 28 marzo, quando verranno sentiti i tre consulenti tecnici della procura, perché, come sottolineato dal giudice nelle udienze passata “questo è un processo tecnico, in cui sono fondamentali i consulenti”.

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