Non c’era mercoledì a Bologna ad assistere alla prima udienza contro Norber Feher. Non era lì a osservarlo collegato via streaming dalla Spagna. Ma Marco Ravaglia, l’agente della polizia provinciale, unico sopravvissuto al killer serbo, ci sarà la prossima volta il 28 novembre.
Le pallottole con le quali Feher ha trafitto il corpo di Ravaglia, non hanno avuto pesantissime conseguenze solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello emotivo per l’agente, che ancora non si sentiva pronto a riguardare quel volto, anche se mediato da uno schermo, che stava per prendersi la sua vita senza provare alcun rimorso, alcuna esitazione, alcuna pietà, dopo essersi preso quella del suo compagno, Valerio Verri, che con lui pattugliava il territorio quel maledetto 8 aprile del 2017.
“Non c’era perché con il cambio del clima è stato male ed è un passaggio delicato vedere quella persona che ti ha quasi ucciso, che ti ha calpestato con gli scarponi e insultato. Non se la sentiva di affrontarlo emotivamente in queste condizioni”, spiega l’avvocato Denis Lovison, tramite il quale Ravaglia si è costituito parte civile nel processo.
La sua condizione di superstite forse lo ha relegato un po’ ai margini della storia, eppure è stato anche grazie a lui che si è avuta la certezza che il killer era proprio lui, Igor il russo, Norbert Feher.
“Ravaglia – afferma l’avvocato – ha fiducia che si possa arrivare a una condanna, perché il lavoro della polizia giudiziaria e delle procure è stato molto importante sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Spera che non si arrivi a un’assoluzione peer infermità di mente – aggiunge Lovison, riferendosi alla richiesta della difesa di Feher di acquisire una perizia psichiatrica come condizione per il giudizio abbreviato – perché questo lo getterebbe nello sconforto più totale”.
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